1848 – ‘ 49: Il Comune di Favaro durante la rivolta e l’assedio di Venezia

RICERCHE

1848 – ‘ 49: Il Comune di Favaro

durante la rivolta e l’assedio di Venezia

di Ettore Aulisio

22 marzo 1848: l’insurrezione e la costituzione della Guardia Civica.
Il Comune di Favaro aderì sin dalla prima ora all’insurrezione di Venezia e alla proclamazione del Governo Provvisorio.
Il 22 marzo 1848 si svolse spontaneamente una Assemblea pubblica: nella sede municipale, dinanzi al deputato municipale Federico Cima, si presentarono il medico condotto Giulio Zambon ed alcuni abitanti del Comune, soprattutto piccoli proprietari terrieri: Antonio Smania, Giacomo Checchin, G.Battista Osello, Tommaso Gottardo, Antonio Maguolo, Antonio Bigo, Evangelista Scrocaro, Bartolomeo Spironello, Domenico Ruzzini. Mentre la riunione era in corso giunse l’altro deputato municipale, il signor Antonio Antolini; arrivava da Venezia dove era già stato nominato capo della squadriglia della Guardia Civica del Sestriere di Santa Croce.
I convenuti, seguendo l’esempio di altri Comuni del Distretto, proposero di dar vita immediatamente alla Guardia Cittadina “per difesa, e tutela delle loro sostanze, interessando la Deputazione di cooperare perché sia regolata a seconda delle norme vigenti, e delle altre Comuni”.
Cima ed Antolini, i due deputati municipali in carica, s’impegnarono subito per realizzare quanto deciso dall’assemblea: invitarono i parroci “a suonare le campane dalle ora dodici all’una, onde invitare li comunisti di doversi recare immediatamente colle armi nella Residenza Comunale per li urgenti bisogni del Comune”; successivamente, ascoltati gli abitanti (i ‘comunisti’), provvidero ad inviare la seguente lettera di nomina al dottor Smania, chirurgo in Favaro:
Si compiace la scrivente deputazione di aderire alla Vostra nomina a comandante della Guardia Civica di Favaro, Dese, e Campalto; nomina infatti che vi fa onore essendo seguita dietro generale acclamazione del popolo oggi a questo nostro luogo di residenza radunato per l’istituzione di questa truppa civica. Tutta la scrivente confidando nei vostri patri sentimenti [……] pel bene comune vi esterna i più sensi di stima”. Subito dopo, redatto l’elenco degli individui iscrittisi volontariamente, la Deputazione municipale attivò “la guardia civica notturna”.
Da notare che per la prima volta nei documenti ufficiali si accenna al ‘popolo radunato’, alla convocazione degli abitanti, a sentimenti patri, ecc.; vocaboli ed espressioni ignorate precedentemente. Si era creato davvero un nuovo clima politico.
La Guardia Civica – altro elemento nuovo per la vita di Favaro – era composta su base volontaria da un numero imprecisato di individui, alcuni dei quali, già facenti parte della guarnigione austriaca di Venezia, il 22 marzo si erano ribellati ai comandanti ed erano ritornati nei loro paesi di origine. Ai militi, anche se volontari, la Deputazione corrispose un compenso in denaro e, cosa non certamente agevole a quei tempi a Favaro, anche una sede.
Nei mesi successivi la Guardia Civica non venne impegnata in azioni militari, bensì nel mantenimento dell’ordine pubblico e nel controllo del territorio; compiti non indifferenti in considerazione della particolare situazione politica e militare di quel periodo. Dal 17 marzo sino al ritorno degli austriaci furono operati arresti di alcune persone, ma non per motivi politici.

La situazione nella primavera del 1848
Con la costituzione della Guardia civica ebbe inizio la partecipazione del Comune di Favaro agli avvenimenti che portarono alla cacciata degli austriaci, alla formazione del Governo Provvisorio e poi a una guerra che per 17 mesi coinvolse popolazione e amministrazione comunale.
Ma quale era in quell’anno la situazione del Comune di Favaro, quali erano le condizioni della sua popolazione?
Nella primavera del ’48 la situazione era pressappoco la stessa di quella indicata nella prima parte di questa pubblicazione; l’amministrazione austriaca aveva provveduto negli anni precedenti alla riattivazione di alcune strade e la popolazione, grazie al lungo periodo di pace e alla assenza di carestie, era aumentata di oltre 400 unità, cioè di un terzo L’aumento era dovuto soprattutto alla immigrazione di famiglie che venivano a cercare lavoro in un luogo da sempre con pessime situazioni ambientali, dove occorreva convivere con la malaria e le ricorrenti epidemie di colera, vaiolo e tifo. Nel Comune, infatti, l’indice di mortalità era sempre notevolmente alto, soprattutto quello infantile. Due esempi per tutti: a Dese in circa un decennio, dal 1838 al 1847, furono registrati 349 nati e ben 411 morti; in tutto il Comune oltre un terzo dei nati moriva nel primo anno di vita e meno della metà superava i venti anni.
Inoltre, in tutto il territorio continuava ad essere molto limitato il numero delle persone impiegate in attività lavorative non agricole; da un elenco del 1848 risulta che operavano in Comune 2 medici condotti (abitanti fuori Comune), 1 proprietario di farmacia, 4 impresari di strade e un costruttore di tegole che abitavano però altrove, 5 persone che si industriavano nella vendita di vino e salsamenteria. Vi erano anche 1 carraio, 1 tessitore, 1 fabbro, tutti e tre di condizione definita ‘miserabile’.
In tali condizioni la popolazione e l’amministrazione comunale di Favaro vissero la non facile situazione creatasi con i nuovi avvenimenti politici e militari.

Il Governo Provvisorio e lo ‘Stato di guerra’
Sin dai primi giorni di aprile il “Comitato per la provendia”, che aveva sede a Mestre, stabilì il contingente dei generi (buoi per la macellazione, pane, vino, foraggio, cavalli, carretti, ecc), che ogni Comune del Distretto doveva fornire alla guarnigione di Forte Marghera e alle truppe di passaggio. Dopo due mesi di requisizioni le scorte di alcuni generi vennero a mancare e l’amministrazione di Favaro lo fece presente, inutilmente, al “Comitato di provendia”.
Difficoltà maggiori l’amministrazione comunale incontrò nel fornire vitto e alloggio, mezzi di trasporto e foraggio al Reggimento Svizzero (i volontari già facenti parte dell’esercito pontificio, comandato dal generale Durando), composto da 1.200 soldati che più volte attraversarono e sostarono nel territorio. Il Comune dovette assistere anche i soldati feriti di questo Reggimento e trasportarli all’Ospedale a Vene

Il ritorno degli austriaci e la “guerra guerreggiata in loco”
Il 17 giugno 1848 alla Deputazione municipale furono consegnati due distinti ordini scritti per la consegna di buoi; uno proveniva dalla guarnigione di Marghera, l’altro dal comando delle truppe austriache che avevano occupato la sera prima la frazione di Dese. La Deputazione provvide a consegnare agli austriaci il bue richiesto, ma non sappiamo se soddisfò la richiesta dei militari che difendevano Venezia.

Iniziò quel giorno per Favaro un nuovo capitolo della storia che aveva avuto principio il 22 marzo: dallo “stato di guerra” dei mesi precedenti si passò alla situazione comunemente denominata “con la guerra guerreggiata in loco’.
Al passaggio delle truppe straniere volontarie accorse a difendere Venezia, si sostituirono i Reggimenti dell’Esercito Austriaco che si stabilirono numerosi in tutto il territorio: immediatamente per alloggiare la truppa e per assistere i feriti, i nuovi arrivati requisirono molte abitazioni, chiese, canoniche, osterie, locali scolastici, ecc. Per le operazioni militari costruirono trincee e fortificazioni a ridosso del Canale Osellino e lungo via Passo e via Orlanda, verso Cavergnaghi; installarono postazioni di artiglieria a Campalto. Infine lungo l’argine di conterminazione lagunare stabilirono e presidiarono una linea di blocco che rappresentava la linea del fronte. Da parte loro gli insorti allagarono i campi situati tra Campalto e Forte Marghera e, prima di ritirarsi da Campalto, portarono via il natante che serviva per il passaggio dell’Osellino. Per alcuni mesi colpirono con le palle dei loro cannoni l’abitato di Campalto e la stessa chiesa di San Martino.
Le campagne e le case poste nelle vicinanze della linea di combattimento dovettero essere abbandonate, in quei campi non fu raccolto il frumento e fu vietato anche il pascolo del bestiame, pena il sequestro dello stesso.

La battaglia della sortita in un dipinto del Giacomelli

L’occupazione militare e l’assedio di Venezia e Forte Marghera
Giunti a Favaro gli austriaci, il deputato Federico Cima si dimise dall’incarico, mentre l’altro componente la Deputazione, Antonio Antolini, si rifugiò a Venezia partecipando alla difesa della città. Gli austriaci provvidero immediatamente a nominare “in via interinale” una nuova Deputazione municipale composta da tre piccoli possidenti del luogo: Giacomo Vecchiato (Primo Deputato), Lorenzo Davanzo e Pietro Cestaro (Deputati). Il Primo Deputato, il signor Vecchiato, era anche proprietario dell’Osteria di Favaro sita in via San Donà, quasi di fronte alla allora sede Muncipale. In quel periodo l’osteria divenne il centro principale del paese: lì dovevano ritrovarsi le persone precettate dal nuovo governo, lì si riunivano spesso gli amministratori comunali. Solo nell’autunno del ’48 la nomina della Deputazione fu convalidata dal Convocato.
In tutto in Comune si stanziarono migliaia di soldati dell’esercito austriaco, soprattutto a Campalto, considerata zona di prima linea. La chiesa di San Martino fu trasformata in ospedale militare.
Il soggiorno di questa gran massa di soldati e le operazioni belliche richiedevano, ogni giorno di più, l’intervento dell’Amministrazione Comunale che spesso si trovò in grande difficoltà nel rinvenire non solo i generi alimentari richiesti, ma anche nel reclutare i ‘villici’ impiegati nello scavo delle trincee. Dovevano essere messi a disposizione degli occupanti anche dei carriaggi per il trasporto dei militari e delle cose. Per far fronte alle tante richieste delle autorità militari – richieste che dovevano essere prontamente esaudite – sia l’agente comunale che il cursore furono costretti a pernottare nelle Sede Municipale.
Leggendo le varie note conservate all’Archivio Municipale di Favaro si può comprendere sia le difficoltà degli amministratori comunali, sia lo stato in cui era ridotta la popolazione, minacciata oltre tutto da rappresaglie dagli occupanti.
In più occasioni la truppa si diede al furto di generi alimentari e a numerosi atti di vandalismo, alcuni per far fronte ai propri problemi (requisizione di imbarcazioni e di arredo scolastico in legno da destinare al riscaldamento), altri fini a se stessi.
Le autorità austriache però vollero dare un carattere di “normalità” a quella situazione, che proprio normale non poteva considerarsi: fu dato l’ordine di riaprire le scuole (non si sa in quali locali), di riprendere le vaccinazioni antivaiolose, di avvisare i contribuenti affinché pagassero le tasse dovute (ma la maggioranza dei contribuenti si trovava nell’assediata Venezia), di riunire il Convocato (ma anche in questo caso gli estimati risiedevano a Venezia), di completare la costruzione delle strade per Tessera e a Campalto, cioè per le due località dove si fronteggiavano gli eserciti nemici. Le disposizioni delle autorità austriache in quel periodo rispondevano a un’operazione di facciata ed erano invece inattuabili.

La fine delle ostilità: i danni di guerra
Con la resa di Venezia, avvenuta il 22 agosto 1849, cessarono tutte le operazioni belliche, ma non cessarono i problemi per la popolazione che doveva riappropriarsi del proprio territorio in molte parti sconvolto, e non vennero meno le difficoltà della Amministrazione municipale che, senza risorse finanziarie, doveva rimettere in moto la macchina comunale e doveva provvedere al risanamento dei danni provocati dalla guerra.
Non è possibile fare un elenco completo di tutti i danni che furono denunciati subito dopo la fine delle ostilità. Da quanto sinora è stato scritto è facile comprendere quali essi furono: numerosi fabbricati distrutti o danneggiati, riduzione del patrimonio zootecnico e forestale, non effettuazione in alcune località del Comune dei raccolti e sospensione delle attività agricole, campagne e strade danneggiate dall’escavazione delle trincee, interruzione del commercio con Venezia. Ai possidenti e a qualche ‘villico’ fu corrisposto un risarcimento finanziario per gran parte dei danni materiali subiti, ma nessun risarcimento fu previsto (e concesso) per la maggioranza dei ‘villici’che avevano dovuto abbandonare le loro abitazioni e la campagna, che avevano sofferto disagi e miseria, che erano stati colpiti dalle epidemie di tifo, colera e vaiolo. Ricordiamo solo che in quegli anni fu molto alto il numero dei morti, di molto superiore a quello dei nati.

Disertori, fuggitivi e patrioti
Dagli elenchi e dalle comunicazioni giunti in Comune in diversi periodi, risulta che il 22 marzo si allontanarono dai loro reparti i soldati dell’esercito austriaco domiciliati nel Comune: Giovanni Spadon di Dese, Girolamo Briggi, Sante Capo e Giacomo Capo di Favaro, Costantino Bruson, Marc’Antonio Ricato e Angelo Pavan di Campalto.
Dopo il ritorno degli austriaci si allontanarono dal Comune Giuseppe Battisti, Eugenio Bottarin, Luca Reibel, Onesto Origene. Successivamente anche due giovani di Campalto, Giuseppe Rigo e Angelo Zecchinato, raggiunsero Venezia e parteciparono alla difesa della città (Zecchinato, arruolatosi nel Corpo dei Cacciatori delle Alpi, fu ferito il 3 agosto 1849 in combattimento a Treporti). Anche tale Agostino Checchin si recò a Venezia e prestò servizio nel Corpo di Gendarmeria. Risulta che si allontanarono dal Comune altre persone, tra cui Giovanni Raganello, figlio del gestore del traghetto di Campalto, ma non si sa se aderì a qualche corpo militare o se invece, essendo un provetto barcaiolo, non provvide al trasporto clandestino di merci e persone nella città di Venezia.
Le due principali figure di “antiaustriaci” furono senz’altro Antonio Antolini e Giulio Pietro Zambon; il primo divenne capitano della Guardia Civica di Venezia e partecipò attivamente a diverse operazioni militari; alcuni giorni prima della resa si distinse particolarmente nella difesa del Ponte lagunare, riuscendo a respingere un attacco nemico . Il secondo, che sino al 16 giugno del ’48 aveva comandato la Guardia Civica di Favaro, nel mese di novembre fu arrestato dagli austriaci; rimesso in libertà dopo un mese di carcere, si allontanò dal Comune, probabilmente per raggiungere Venezia, e il 20 gennaio 1849 fu dichiarato “fuggitivo”.

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Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra, c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti. Ma non è facile starci tranquillo.

— Cesare Pavese, La luna e i falò, Einaudi (1950)

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