Comune di Favaro: territorio e abitazioni nell’ottocento

RICERCHE 18

Comune di Favaro: territorio e abitazioni nell’ottocento

di Ettore Aulisio

Nell’ottocento, in questa parte della gronda lagunare, gli elementi emergenti dell’edilizia rurale non erano le ville signorili e le strutture delle aziende agricole da loro dipendenti, ma le modeste, e spesso povere, case abitate da famiglie di fittavoli, di contadini ‘chiesuranti’ e di braccianti.

Guglielmo Ciardi "Mattino di maggio" (1869)

Nel dipinto “Mattino di maggio” di Guglielmo Ciardi sono rappresentati due dei principali tipi di edifici rurali che in quei tempi sorgevano sparsi nelle campagne della terraferma veneziana: una casa in muratura e un ‘casone’ ricoperto con canne e paglia. Come risulta dalla relazione del Sindaco di Campalto del 1810 (vedi in RICERCHE 7 “Campalto nel 1810”) e dagli scritti di Carlo Stivanello[i], la situazione abitativa e ambientale nella zona prospiciente la laguna, da San Giuliano alla foce del Dese e alla chiusa di Portegrandi, era meno idilliaca e pittoresca di quella rappresenta nel dipinto. In altre opere, però, lo stesso pittore rappresentò più realisticamente la condizione dei contadini e la situazione della campagna (vedi illustrazione in RICERCHE 17: “Le bonifiche del Consorzio Dese inferiore” ).

Cartografia del territorio di Favaro nel 1859

Come appare dalla allegata planimetria, il territorio in riva alla Laguna di Venezia era nell’ottocento scarsamente abitato; in alcune zone, ricoperte da vaste estensioni di boschi e da paludi e stagni, non sono segnate abitazioni e spesso la presenza umana risultava pressoché nulla.

Gli ‘Atti preparatori’del Catasto Austriaco (1826/27) confermano le descrizioni riportate nelle citate planimetria e relazione del Sindaco: il 52% del territorio comunale di Favaro e il 47% di quello del limitrofo comune di Marcon erano ricoperti da boschi, paludi, maremme e terreni improduttivi.

 

Casone come abitazione civile

La quasi totalità degli abitanti era composta da contadini, detti ‘villici’; tra loro però esistevano delle differenze dovute al tipo di rapporto che avevano contratto con i proprietari terrieri. In gran parte erano fittavoli, a loro volta distinti in ‘coloni fittuari’ (su grandi e medie tenute) e in ‘chiesuranti’, detti pure ‘obbligati’ perché dovevano corrispondere l’affitto al proprietario del piccolo fondo con giornate di lavoro presso altri poderi dello stesso proprietario. I contratti di affitto potevano essere stipulati direttamente col proprietario del fondo o con i ‘grandi affittanzieri’, cioè con quegli imprenditori agricoli che, affittate in ‘blocco’ le proprietà fondiarie degli istituti pii e religiosi, provvedevano a subaffittare i singoli poderi alle famiglie di coloni, in genere composte da pochi membri; spesso, a causa del ridotto numero dei componenti della famiglia dei fittavoli, si doveva ricorrere anche al lavoro dei braccianti o del ‘lavoratori stagionali’ provenienti dal bellunese e dal Friuli.

Edificio rurale del sec. XIX ancora oggi utilizzato a Favaro

Pochi erano i coloni che possedevano modesti appezzamenti di terreno; per integrare le misere rendite del loro piccolo fondo erano costretti a prestare opera di braccianti presso le tenute gestite dai ‘grandi affittanzieri’; vi erano poi i braccianti che non possedevano né case, né terra e che dovevano prestarsi all’esecuzione di lavori occasionali e mal retribuiti. Altre attività lavorative, quali quella della pesca in acque dolci e salata o la raccolta di canne ed altre essenze vegetali spontanee, erano complementari a quelle agricole.

Disegno di una casa rurale ritrovato nell'archivio del Comune di Favaro (1826)

Negli ‘Atti preparatori’ del Catasto Austriaco le case abitate dalla scarsa popolazione erano così descritte: “in generale poco comode tanto per l’abitazione degli uomini quanto per gli animali, parte edificate con muro ricoperto di coppi, parte semplici capanne con coperto di canne e paglia”.

Le case in muratura, di varie dimensioni, in genere facevano parte delle ‘possessioni’ agricole più vaste ed erano sparse nella campagna; le capanne e le case in muratura di piccole dimensioni facevano parte di piccoli poderi (da 1 a 5 ettari di superficie), detti ‘chiusure’; esse erano generalmente dislocate ai margini delle strade principali. La tipologia delle abitazioni rurali, come descritto da Carlo Stivanello, corrispondeva grosso modo alle suddivisioni esistenti tra i ‘villici’; essa restò praticamente immutata per quasi tutto l’ottocento. Solo verso la fine del secolo vennero costruiti alcuni edifici rurali nei grandi poderi e presso le prime aziende agrario di tipo capitalistico (Franchin, Gottardo, Manente, Querini, ecc.).

A differenza di altre località della terraferma (Carpendo, Zelarino, Chirignago, ecc.), nei territori posti a ridosso della gronda lagunare praticamente non erano presenti le case di villeggiatura con gli annessi edifici rurali. Agli inizi del secolo XIX solo nella frazione di Favaro c’era un edificio utilizzato da proprietari come ‘casa di villeggiatura’, nei pressi della quale sorgevano alcune case e casupole rurali (il ‘colmello Indri’). Le altre poche ville (Pisani, Morosini) esistenti nel territorio nei secoli precedenti o erano andate distrutte o erano state trasformate in edifici rurali.

Ex casa dominicale detta villa Pisani


[i] C. Stivanello: “Proprietari e contadini in Provincia di Venezia”, VE 1873.

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— Michael Ende, Die Unendliche Geschichte (La Storia Infinita)

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