Quell’ultimo ponte ( ovvero le “donne del latte” e la sub-lagunare)

DISCUSSIONI

Quell’ultimo ponte (ovvero le “donne del latte” e la sub-lagunare)

di Roberto Pace

Il ponte ferroviario austriaco del 1846 aveva risolto solo in parte la “noiosa condizione” degli abitanti di Venezia i quali, oltre che in barca, non potevano recarsi in terraferma e tornare in città se non in treno, essendo il ponte precluso a carrozze e a pedoni. Nel 1880, il comune autonomo di Murano, che contava 4000 abitanti ed era in fase di rilancio come centro vetrario artistico ed industriale, era collegato a Venezia con un servizio pubblico di due traghetti: quello delle gondole (in numero di 36, con tariffa di 30 centesimi per una persona sola e lo centesimo a testa se più di tre) e quello dei due barconi “omnibus” a remi, da e per Rialto, che costava 10 centesimi a persona, di giorno e venticinque di notte. Lo stesso Cimitero Comunale, nell’isola di S. Cristoforo, era accessibile ai veneziani che non possedevano un natante soltanto per mezzo di trasporto a remi a pagamento. Negli ultimi decenni dell’800, ad opera di alcune personalità cittadine (Carlo Pisani, direttore di “Rinnovamento”; contrammiraglio Fincati; Giuseppe Barbaro, sen. Antonio Fornoni, sindaco di Venezia, ecc.) prendeva forma l’ idea di una seconda via di comunicazione “libera, continua e stabile” tra la città insulare e la terraferma. Da alcuni muranesi, in primis dal sindaco di quel Comune, cav. Colleoni, fu in particolare sostenuta la necessità che una nuova via per carrozze e pedoni dovesse seguire un percorso tale da rendere raggiungibili a tutti gli abitanti di Venezia, pedibus calcantibus e gratis, sia l’isola del Cimitero, sia l’isola di Murano. Uno dei principali fautori di quest’ultima idea fu l’ abate Vincenzo Zanetti (1824-1883) sacerdote, cavaliere ufficiale dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro e della Legion d’onore, storico, studioso di tradizioni, scrittore prolifico, fondatore del Civico Museo Vetrario, economista concreto: poliedrica figura di murane se fremente d’amor patrio e di passione cittadina, risuscitatore, nell’isola, dell’antica arte del vetro, che leggeva nel nuovo collegamento con la terraferma il salto di qualità nello sviluppo socio-economico del suo Comune. Non volendo arrendersi all’opinione che già correva a quei tempi, cioè: “che a Venezia, ormai ridotta alla condizione di Museo d’arte monumentale, non rimarrà in breve altra vita che quella che le può derivare dalla frequenza degli stranieri che s’invogliano di visitarla” egli vedeva nell’auspicato legame carraio con la terraferma anche il mezzo per ridare slancio all’intera città insulare che, pur potendo contare (seconda la Statistica Municipale del 1879) su un capitale umano di 131.276 residenti – cioè il triplo di quello dei nostri giorni! – era in stato di grave declino: con la nuova strada, secondo Zanetti “Venezia, in una parola, cesserà di essere una città fuori del mondo e i suoi cittadini… saranno liberi di muoversi, di partire e di ritornare quanto loro interessa e aggrada“.

L’abate Zanetti s’incaricò quindi di far conoscere e di sostenere, attraverso l’opuscolo: “La nuova strada tra Venezia e la Terraferma -Sul Progetto del cav. Antonio Baffo -Cenni ed apprezzamenti del cav. prof. Vincenzo Zanetti -Pubblicato per cura del Progettista, Venezia, Tip. Del Commercio di Marco Visentini, 1880” i vantaggi e le convenienze di un disegno di collegamento che rispondeva appieno a queste sue attese. Il progetto dell’ing. Baffo prevedeva un ponte di attraversamento della laguna “per vetture, tramways e pedoni” lungo 6480 metri, alto sul medio mare così da consentire il passaggio di barche piccole o ad albero mobile (le più grandi e quelle ad albero fisso sarebbero passate attraverso una sezione girevole), costruito integralmente in ferro e poggiante su pali abbastanza sottili da opporre insignificanti resistenze alle correnti di marea, al fine di evitare interrimenti o di alterare il regime idrodinamico della laguna. Partendo dal margine nord della città (Fondamente Nove) il ponte avrebbe toccato l’isola del Cimitero, puntando verso Murano, da dove dirigendosi con un angolo retto verso nordovest avrebbe traversato – parallelamente al ponte austriaco, ma più a nord – lo specchio lagunare, atterrando nei pressi di Campalto, in un punto fin d’allora snodo di vie di traffico verso un gran numero di paesi contermini, e luogo della costruenda ferrovia Mestre-Portogruaro. Aspetto di particolare interesse è che il percorso progettato dall’ing. Baffo non si sarebbe fermato, dalla parte di Venezia, al margine della città, ma sarebbe penetrato, con una allee di 430 metri di nuova costruzione, fino al suo baricentro urbanistico, che lo stesso progettista identificava nel campo SS. Apostoli, incrocio di tre sestieri, a un passo da Rialto, dove allora si concentrava tutta la vita commerciale. Chi conosce Venezia sa che questo campo, da cui si diparte Strada Nova, non è poi così vasto, ne geometricamente così felice da poter essere pensato come punto d’arrivo intermodale di un nuovo accesso, alla grande, di gente e merci, senza dolorosi adattamenti che probabilmente non avrebbero potuto risparmiare la Chiesa dei SS. Apostoli (particolarmente cara a chi scrive) alla stregua di come non fu rispettata la cattedrale gotica nel centro storico di Bratislava, toccata a metà della sua altezza dalla circonvallazione urbana, costruita dopo il 1968. Zanetti, invece, pur conscio che “la questione dell’allargamento delle strade per Venezia, città eminentemente storica e monumentale. ..è sempre ardua a risolversi…” sul punto non vorrebbe indugiare, in quanto la costruzione della nuova allée “non presenterebbe fortunatamente alcuna difficoltà né dal punto di vista della espropriazione e conseguenti demolizioni, né da quello dei riguardi storici, monumentali ed artistici” in quanto “lungo il tracciato della nuova via non esiste alcun monumento, alcun oggetto d’arte, alcuna memoria storica che meritino d’essere conservati”. Il carattere originale di questa parte di Venezia, insomma, non avrebbe subito danno, in quanto i canali esistenti nella zona sarebbero stati rispettati e si sarebbe mantenuto “il duplice vantaggio dell’approdo delle barche per acqua e dell’accesso delle carrozze per terra”, anche se prima di congiungersi al ponte, nel suo tratto estremo la nuova allée passerebbe attraverso un’ area libera di oltre 10.000 mq “terreno indispensabile per la costruzione di scuderie, di rimesse, di magazzini di deposito” dove avrebbe potuto tenersi “un settimanale mercato, forse anche un mercato franco…”.

Forse il motivo per il quale il ponte lagunare dell’ing. Baffo non fu mai realizzato (benché su di esso convergessero, sempre secondo l’ abate Zanetti, riconoscimenti d’ opportunità, assensi strategico-militari, approvazioni d’ordine idraulico, convenienze economiche e previsioni di vantaggi locali) andrebbe ricercato proprio nell’aspetto che riguarda la parte del percorso che irrompeva nel cuore della città, anziché fermarsi alla sua soglia. La proposta di convertire il plesso urbanistico dei SS. Apostoli in “terminal” non poteva non apparire infatti, anche allora come una fatale inoculazione di “normalità” – nelle vene di una città che da secoli aveva costruito la sua cifra urbana sul rifiuto della contemporaneità – che avrebbe provocato l’insopportabile ritorno al centro di Venezia di cavalli e carrozze, e il trapianto, nel segmentato e diseguale ordito urbano, di improbabili Unter den Linden (come, in realtà, preconizzava lo stesso Zanetti: “lungo la sua linea sorgerebbero nuovi edifici decorosi, e giardini”). La pretesa di poter designare e apparecchiare certi luoghi interiori della città come stazione da e per la terraferma, senza valutare, con la debita circospezione, l’impatto mutageno di questa scelta sul tessuto urbanistico e sociale, si ripropone ancora oggi a Venezia con l’inquietante naiveté di un ricorso storico, nel progetto di portare alla luce il tubo esplosivo della “sublagunare” (Aeroporto di Tessera, – Murano -Venezia) nei pressi silenziosi dell’Arsenale, proprio all’interno di una superstite periferia di vivente venezianità. Le ragioni della necessità di quest’ultimo ponte (subacqueo per disponibilità di nuove tecnologie, ma fin da subito oggetto di molte critiche a causa dell’impatto sul sistema geologico del fondo lagunare e delle antiestetiche “uscite di sicurezza” emergenti dalle acque, che lo rivelano) pur ricalcando in qualche modo quelle dell’abate Zanetti, ne differiscono profondamente nel loro senso finale.

L’interscambio più diretto, frequente e massivo di gente tra Venezia e il continente attraverso la “sub-lagunare” non è certo inteso, come nel 1880, a risparmiare i costi dei traghetti ai veneziani e alle “donne del latte, che partendosi da Campalto o dai paesi finitimi, e varcando il fiume Osellino, per transitare il quale si paga un pedaggio, si recano a Venezia ogni mattina per tempissimo, colla barca“. Il pensiero dell’abate Zanetti poneva al centro delle sue cure la necessità di invertire i “desolanti presagi” e la “triste condizione economica cui la città nostra è ridotta”: cioè salvaguardare e mantenere nel tempo Murano e Venezia come città. Il fine della “sub-lagunare” appare, invece, quello di facilitare il flusso di un sempre maggior numero di turisti attraverso la diversificazione e la specializzazione degli accessi: l’ opera non riesce a convincere di poter attivare e sostenere una più efficace mobilità urbana, anche perché i punti d’arrivo sulle due sponde (Favaro a Mestre; Fondamente Nove e Arsenale a Venezia) risulterebbero troppo eccentrici per inaugurare un efficiente e complessivo daily urban system di circolazione di persone e merci nell’area metropolitana.

Stampa d'epoca raffigurante le "latariole" recanti il latte a Venezia dalle campagne

Stampa d’epoca raffigurante le “latariole” recanti il latte a Venezia dalle campagne

Postilla:  Tanto più che il centro della Terraferma mestrina e il centro di Venezia sono già collegati da quattro corsie per i vettori su gomma (con oggi il tram), quattro binari ferroviari e una via d’acqua.

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vedi anche 

Tram, tunnel, strade sui tetti i progetti folli per Venezia

[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1985/05/08/tram-tunnel-strade-sui-tetti-progetti-folli.html]

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Ed ecco la rivedeva, quella stupefacente riva d’approdo, quell’abbagliante composizione di edifici fantastici che la serenissima presentava agli sguardi riverenti dei navigatori che si approdavano: l’aerea magnificenza del palazzo ducale e il ponte dei sospiri, le colonne sulla riva col leone e col santo, il pomposo assetto del tempio fiabesco, il traforo della porta dell’orologio coi mori, e mentre contemplava si disse che arrivare a Venezia dalla terraferma era come entrare in un palazzo dalla porta di servizio, e che solo per nave, dall’alto mare, come aveva fatto lui questa volta, bisognava giungere nella più inverosimile città del mondo.

— Thomas Mann (Premio Nobel per la letteratura -1929), La morte a Venezia (Der Tod in Venedig, 1912)

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