Piccola storia risorgimentale

DISCUSSIONI

Piccola storia risorgimentale

con un feldmaresciallo, due generali e un quasi ignoto sergente.

di Ettore Aulisio

1 – Italia 1848: questa breve storia è ambientata all’epoca del Risorgimento Italiano ed è basata su fatti storicamente accertati; essa vuole evidenziare il comportamento di alcuni personaggi la cui fama, positiva o negativa, spesso ci è stata narrata dalla Storia Ufficiale in un modo diverso.
Il racconto inizia nel Marzo del 1848 quando, contro gli austriaci, insorsero diverse città della Lombardia e del Veneto e quando a Roma e a Napoli i ‘liberali’ chiesero ai loro sovrani la concessione della Costituzione e la partecipazione alla guerra per l’Unità e l’Indipendenza d’Italia.
Nel Lombardo-Veneto le città di Milano, Venezia, Vicenza, Brescia ed altri centri minori, dopo aver scacciato gli occupanti, diedero subito vita a dei Governi cittadini e formarono delle proprie milizie composte in prevalenza da volontari. Naturalmente queste poche forze non potevano sperare di sconfiggere definitivamente l’Impero Asburgico; intervennero allora a loro sostegno le truppe del Regno di Sardegna che, primo tra gli Stati italiani, il 24 marzo aveva dichiarato guerra all’Austria.
Dalle altre regioni (soprattutto dalla Toscana e dall’Emilia) accorsero  diversi corpi di volontari, più o meno organizzati, ma tutti male armati e male comandati, benché animati da tanto entusiasmo patriottico.
Diverso e contraddittorio, come vedremo nei seguenti paragrafi, fu invece il comportamento tenuto dai sovrani dello Stato Pontificio e del Regno delle Due Sicilie.
2 – Papa Pio IX, sotto la pressione della “piazza”, inviò le truppe pontificie composte da regolari e volontari ai confini del suo Stato con il Regno del Lombardo-Veneto; qui compare il primo protagonista di questo racconto, il generale Giovanni Durando, un piemontese che aveva combattuto sotto diverse bandiere in vari Stati  europei ed era ritornato nel 1842 in Italia; Papa Pio IX il 24 marzo 1848 lo nominò comandante dell’Esercito pontificio.

Giovanni Durando

Ritratto del Gen. Giovanni Durando

Giovanni Durando, alla guida di circa ventimila militari delle truppe pontificie ed estere, si portò quindi nel territorio della Legazione pontificia di Ferrara: il 23 aprile 1848 era pronto ad entrare nel Regno del Lombardo-Veneto per combattere gli austriaci.
Il 29 di quel mese, però, Papa Pio IX, mutando le sue precedenti decisioni, dichiarò che il suo Stato non sarebbe entrato in guerra con la “cattolica” l’Austria e di conseguenza ordinò all’esercito pontificio di ritirarsi; il generale Durando, disubbidendo agli ordini papali, condusse invece le sue truppe oltre il Po e contrastò militarmente gli austriaci, soprattutto nel Veneto.

Il proclama del Generale Durando

Il proclama del Generale Durando

I “papalini”, detti anche “svizzeri”, affrontarono le truppe asburgiche in diverse battaglie che si svolsero nel trevigiano (Treviso, Montebelluna, Cornuda, ecc.), subendo diverse per-dite (in alcune occasioni i soldati pontifici sostarono anche nel territorio di Favaro, nella terraferma veneziana).
Nei primi giorni del giugno 1848 il generale Giovanni Durando compì a Vicenza la sua maggiore impresa militare: combatté per la difesa della città assediata da ingenti e organizzate truppe austriache.
I combattimenti, molto aspri e sanguinosi, durarono alcuni giorni; alla fine gli austriaci, che avevano occupato la sommità del Monte Berico, iniziarono a martellare con la loro artiglieria la città e la sua stremata guarnigione. Allora Durando, non sperando più di ottenere da Carlo Alberto i richiesti aiuti, decise di arrendersi: la resa fu firmata l’11 giugno mattina.
Il feldmaresciallo Radetzkj (altro protagonista della narrazione), non operò rappresaglie contro gli sconfitti, anzi a Durando e alle sue truppe concesse l’onore delle armi e il permesso di ritornare nello Stato Pontificio.
Nei mesi seguenti Giovanni Durando ebbe modo di proseguire nella carriera militare: arruolatosi nell’esercito sabaudo, partecipò a diverse imprese belliche, fece parte anche del co rpo di spedizione inviato nel 1861 per reprimere il brigantaggio nell’Italia meridionale: e la repressione fu piuttosto cruenta.
Durando, fra le tante onorificenze che ebbe nella sua vita, poté vantare  anche la nomina di Senatore del Regno d’Italia.
3 – Ferdinando II, re delle Due Sicilie, sollecitato dai liberali napoletani, il 7 aprile del 1848 dichiarò guerra all’Austria e inviò nel Lombardo-Veneto un Corpo di spedizione militare; il comando delle truppe napoletane fu assegnato al generale Guglielmo Pepe.

Guglielmo Pepe

Il 22 maggio re Ferdinando, come aveva già fatto Pio IX, mutò improvvisamente la precedente decisione e richiamò a Napoli il suo esercito; il generale il Pepe non obbedì e unitamente al 2° battaglione di cacciatori, alla 6^ compagnia zappatori e a pochi altri ufficiali e soldati varcò il Po per recarsi a Venezia; nella città lagunare gli fu affidato da Manin il Comando Generale dell’Esercito.
Durante l’assedio della città il generale Pepe ebbe modo di distinguersi in vari combattimenti unitamente agli altri militari e patrioti meridionali che lo avevano seguito, tra cui figuravano Enrico Cosenz, Cesare Rossarol, Girolamo Ulloa, Alessandro Poerio e i fratelli Carlo e Luigi Mezzacapo, cioè il terzo protagonista del presente racconto.
Dopo la resa di Venezia (12 Agosto 1849), i sopravissuti militari e patrioti meridionali ebbero salva la vita da Radeztkj e non furono incarcerati, ma esiliati. Una nave francese li trasportò a Corfù dove ebbe termine la carriera militare di Gugliemo Pepe, ma non quella dei suoi compagni che, in vari modi, poterono partecipare alle successive vicende che animarono il Risorgimento Italiano.
Luigi Mezzacapo, al quale durante l’assedio di Venezia era stato affidato il comando di Forte Brondolo, lasciata la città lagunare poté partecipare nel 1849 alla difesa della Repubblica Romana; negli anni seguenti si rifugiò nello Stato Sabaudo dove proseguì la sua carriera militare, prima nell’esercito piemontese, poi in quello del neonato Regno d’Italia, di cui divenne anche Ministro della Guerra.
4 – Civitella del Tronto: nel mese di gennaio del 1861 Luigi Mezzacapo sostituì il generale Pinelli nel comando delle truppe sabaude che dal novembre 1860 assediavano  la fortezza borbonica di Civitella del Tronto.
Le truppe del Regno di Sardegna erano molto più numerose e molto meglio armate dei pochi borbonici che difendevano la fortezza e che, in mancanza di armamento adeguato, furono costretti ad utilizzare anche degli artistici cannoni del secolo XVIII, veri pezzi di Museo. La determinazione dei difensori non venne meno neppure quando la fortezza fu sottoposta ai continui e massicci bombardamenti dell’artiglieria piemontese e alle rappresaglie contro la popolazione civile ordinate dal generale Pinelli.
Il 15 Febbraio 1861, dopo la caduta della fortezza borbonica di Gaeta e l’andata in esilio del Re Francesco II di Borbone, il generale gen. Mezzacapo iniziò un violentissimo bombardamento con i nuovi potentissimi cannoni a tiro veloce; la fortezza, nonostante i danni e lo scarso numero dei difensori, continuò caparbiamente a resistere. Solo il 20 marzo, già avvenuta la proclamazione del Regno d’Italia,  i 197 assediati si arresero agli oltre 3.500 assedianti.
Invece di ricevere gli onori militari, come era già avvenuto a Vicenza ai soldati di Durando, una parte della guarnigione del forte e il sergente Messinelli (ultimo protagonista di questo racconto) furono fucilati senza processo; il Messinelli era stato, soprattutto nelle ultime settimane, l’anima della difesa ad ogni costo della fortezza, spesso in contrasto con vari ufficiali.
Gli altri componenti della guarnigione ebbero salva la vita, ma, invece di poter riparare in altri Stati come era accaduto nel 1849 a Luigi Mezzacapo, furono deportati fino alla fine dei loro giorni in carceri e in campi di concentramento nell’Italia settentrionale.
Il 22 marzo il Ministro della Guerra, generale Fanti, ordinò la distruzione della fortezza di Civitella, ma prima fu trasportato in un Museo Militare di Torino lo storico cannone di bronzo del seicento.

La Storia Ufficiale, quella insegnataci a scuola, ci descrive in modo diverso il comportamento dei nostri personaggi: più dispotico quello di Radetzkj, più eroico quello di Durando e Luigi Mezzacapo. La Storia Ufficiale menziona appena il sergente Messinelli che fino all’ultimo restò fedele al suo re.

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Un Paese è sviluppato non quando i poveri posseggono automobili, ma quando i ricchi usano mezzi pubblici e biciclette.

— Gustavo Petro (Sindaco della città di Bogotà)

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