La strada romana Annia o Emilia Altinate

Mestre, Campalto, Tessera lungo l’antica strada romana Emilia-Altinate che congiungeva Bologna con Aquileia passando per Padova e Altino. Fra Padova e Altino si sovrapponeva con la via Annia. L’attuale via Orlanda giace sul sedime di quelle strade romane.

di Lionello Pellizzer

L’Emilia–Altinate è l’antica strada, aperta intorno al 175 a.C., che congiungeva Bologna con Aquileia, passando per Altino. Ci sono giunte diverse testimoniante tra le quali “l’Itinerario Antonino” che la definisce “item ab Aquileria Bononiam”, confermando una notizia fornita dal grande geografo romano Strabone. Secondo Strabone la strada era una creazione dello stesso Emilio Lepido fautore della via Emilia (che congiungeva in linea retta Rimini con Piacenza), che aveva pianificato le arterie stradali della pianura padana in possesso dei romani, per garantire rapidi spostamenti alle legioni impegnate contro i Galli, i Liguri, gli Istri, i Reti, i Pannoni e gli altri popoli ancora belligeranti che minacciavano Aquileia e tutta la pianura padana.
La via Annia fu costruita nel 131 a.C. dal pretore Tito Annio Rufo e collegava Adria con Aquileia. Ad Adria arrivava anche la Popilia proveniente da Rimini. L’Annia transitava lungo la costa veneta, raggiungeva Altino e poi Aquileia. Passava per Padova e quindi da Padova, nel tratto fino ad Altino, c’era la sovrapposizione con l’Emilia-Altinate. Queste strade romane mettono in evidenza il ruolo importante di Altino e di Aquileia come crocevia verso il Danubio. Da Altino partiva la Claudia Augusta diretta verso la Germania passando per Trento.
Della via Annia, nel tratto Padova–Altino, conosciamo due stazioni, cioè posti di ristoro per uomini e cavalli con alloggi, bagni, officine; una era a San Bruson, l’altra a Marghera. Ci si arrivava seguendo un percorso alla destra della riviera del Brenta, secondo alcuni studiosi, lungo la riva sinistra secondo altri e, in questo caso le stazioni sarebbero state a Dolo e a Mestre
Nel 1873 fu istituita la Regia Deputazione di Storia Patria e una Commissione che doveva indagare sulle tracce ancora esistenti delle strade romane che transitavano per il territorio veneziano. I 4 componenti della Commissione si riunirono il 17 maggio 1883 a Mestre, con gli accompagnatori l’avv. Marco Allegri e il parroco di Favaro don Sebastiano Bellinato, ottimi conoscitori del territorio. La prima tappa fu un casolare fra Campalto e Marghera (era il luogo dove sorgeva il borgo di Marghera, dove ora c’è il Forte Marghera), posto sul confine fra il comune di Favaro e quello di Mestre. Il luogo era chiamato “Ponte di Pietra” sebbene non ci passasse più alcun fiume e non si scorgessero tracce del ponte. Oggi c’è una viuzza laterale dell’Orlanda, proprio di fronte alla via Cavergnago, a testimoniare quel luogo dove passava un braccio, ora scomparso, del “Fiume di Mestre” o Marzenego e dove esisteva un ponte di pietra a scavalcarlo. Le mappe ottocentesche testimoniano che, sulle barene dell’antico “Tombello” (ora chiamato S. Giuliano) c’erano le tracce di quell’antico canale chiamato “canale del Tombello o Tombellin ” che portava in laguna.
Più avanti verso Campalto la Commissione vide l’antichissima chiesa di S. Martino, ricostruita a partire dal 1503 dai Morosini e chiamata S. Martino di Strada, a ricordo della strada romana che le passava accanto. La Commissione ricordava l’importanza che ebbe quella località, essendo percorsa dall’esercito dei Franchi di Pipino durante la guerra contro i Veneziani. Probabilmente il nome di “strada d’Orlando” fu dato in quell’epoca a ricordo del paladino Orlando.


La strada proseguiva verso Tessera e Terzo ma, appena dopo la chiesa di S. Martino, si perdevano le tracce della strada il cui sedime, largo circa 20 metri, per secoli era stato di proprietà dell’abbazia di S. Cipriano e poi del Patriarcato di Venezia. Quindi sopra la strada si coltivavano il grano e le viti. Nonostante questo le tracce erano ancora visibili. Una mappa di Nicolò Dal Cortivo del 1551, la riporta segnata con una linea rossa. La Commissione ascoltò un contadino del luogo, certo Filippo Bottacin, che testimoniò di aver trovato ripetutamente, a poca profondità, pietre e ghiaie. La Commissione s’inoltrò più avanti verso Tessera e, alla cascina n. 101, fra i campi dei Ceresa, allora proprietari di quelle terre, “l’Emilia ricomparve larga circa 20 metri e vide che da questo punto “proseguiva retta per oltre 4 chilometri”. In località Cà Bianca (si trova a Tessera in corrispondenza dell’incrocio con la via Piovega) la strada si ritrovava larga 10 metri, fino all’incrocio con la strada comunale di Terzo (attuale via Trestina che viene da Favaro costruita dal Comune di Favaro nel 1842/43). A Terzo si trovava l’oratorio dei Certosini, demolito nel 1876, le cui pietre servirono per il restauro della chiesa di S. Andrea di Favaro (da “I Certosini, i Morosini e il Patriarcato di Venezia…” di L. Pellizzer).
La Commissione arrivò a Ca’ Noghera, in mezzo a terreni paludosi ma fu “sorpresa nel vedere nuovamente il magnifico spettacolo dell’Emilia, che correva colla sua larghezza normale di 20 metri, perfettamente retta fino a Pagliaga, cioè al Dese e alle paludi che qui lo fiancheggiano”. Un disegno del 1777 tratto dal Catastico del Patriarcato, mostra chiaramente le “vestigia” dell’antica strada romana (vedi il disegno).
Per quella giornata le ricerche finirono in quel luogo, per proseguire all’indomani fino ad Altino e poi più oltre fino ad Aquileia.

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