Mestre per un museo, un museo per Mestre (2)

DISCUSSIONI

Mestre per un museo, un museo per Mestre (2)

di Gabriele Scaramuzza*

Da qualche giorno si rianimato, almeno sulla stampa locale, il dibattito sulla realizzazione del museo di Mestre, e sullo svolgimento della mostra Mestre Novecento, che i proponenti intendono come funzionale al processo che dovrebbe portare alla realizzazione della struttura espositiva. Sia che si tratti della meritoria vis che accompagna l’entusiasmo civile e la perizia storica di Sergio Barizza, sia che si tratti dell’importante contributo di Giuliano Segre che manifesta alla città le volontà della Fondazione Venezia, tutti rinvengono un comune retroterra nello stabilire la necessità che Mestre acquisti un luogo ove fissare, materialmente e simbolicamente, i cardini della propria memoria di città.

Lungi dalla facile tentazione del localismo, tutti i contributi hanno ben individuato l’esigenza che la riflessione sul costituendo Museo, come la realizzazione di Mestre Novecento, costituiscano le sorgenti di un dibattito sul volto culturale della terraferma, le premesse di un pensiero istituzionale che ponga a tema Mestre e le faccia guadagnare la centralità che le compete all’interno del sistema urbano metropolitano. E’ in ragione delle ragioni alte che hanno animato gli interventi che ci permettiamo di aggiungere alcune considerazioni, che offriamo in guisa di piccolo nostro contributo.

In primo luogo vorremmo affermare la necessità che si superi la fase del confronto e dell’accademia, per giungere, nei tempi più brevi possibili, a individuare le azioni concrete in grado di realizzare le volontà sopra esposte. Ciò è particolarmente vero per quanto riguarda Mestre Novecento, troppe volte posposta nel tempo a causa del tergiversare dell’Amministrazione Comunale, per la quale un rinvio non è più neppure tollerabile.

E’, quello di Mestre Novecento, il negletto esempio di una trascuratezza amministrativa che finisce per svuotare gli entusiasmi dei responsabili scientifici dell’opera, pregiudicare l’accuratezza del lavoro di ricerca e individuazione delle fonti e delle testimonianze, immobilizzare le risorse economiche già disponibili e dedicate alla realizzazione dell’evento.

Chiediamo dunque, con forza, che il Comune di Venezia si faccia parte diligente, sia nelle volontà politiche, sia negli adempimenti procedurali, per giungere al fine all’allestimento di Mestre Novecento, e al suo definitivo inserimento tra le attività di eccellenza dell’Assessorato alla Cultura. Come giustamente ricordato dai proponenti, Mestre Novecento non va concepita come evento espositivo isolato, monade irrelata dal contesto culturale, bensì come sorgente di quel progetto ampio che dovrà avere culmine con il Museo della città di Mestre, rispetto al quale si individua il ‘900 come periodo determinante per la definizione dell’identità di terraferma e, quindi, come asse su cui improntare l’intera struttura.

Se questo è vero dal punto di vista delle trasformazioni sociali, territoriali, economiche che hanno investito Mestre nel secolo scorso, non vorremmo però che si ingenerasse un fraintendimento che corre il rischio di fuorviare il senso dell’intero progetto. Non vorremmo, infatti, che si indulgesse ad un facile riduzionismo che costringe la storia di Mestre al solo ‘900, con ciò semplicemente dimenticando tracce e testimonianze dei periodi antecedenti. Se ciò accadesse, l’esito non sarebbe altro che la riproduzione (sul piano simbolico e dell’immaginario che è il retroterra di ogni identità comune) di quanto già avvenuto proprio nel novecento sul piano della struttura urbana, e cioè la semplice rimozione di una memoria a lungo sedimentata e semplicemente interrotta. Se un senso deve avere la costituzione del Museo di Mestre (e il progetto culturale che lo sottende) esso è da rinvenire piuttosto nella esposizione di come il ‘900 sia il luogo della trasformazione di Mestre, che sostituisce uno spazio urbano ancora improntato alla città medievale, e caratterizzato dall’intreccio tra le vie di terra e le vie d’acqua, allo spazio della città industriale prima e terziaria poi, e all’inserimento di Mestre all’interno di quell’area pan-urbana che è oggi la pianura veneta.

E’ solo a partire dalla precisa consapevolezza dell’evoluzione che lo spazio urbano ha subito nel tempo, e che trova nel XX secolo un’accelerazione spiccata e una definizione pur non conclusa, che è possibile recuperare in misura compiuta la memoria della terraferma, e collocarla a tema di una struttura museale. Infatti, è necessario tenere bene a mente quali sono stati i processi sociali e culturali che hanno contraddistinto nel tempo la terraferma per poterne dare una rappresentazione corretta in forma di apparato didascalico e storico, a evitare la banalizzazione che costringe Mestre all’interno del novecento. Se mai, occorre recuperare e sottoporre ad indagine storiografica alcune delle vocazioni che il territorio ha maturato nel corso dei lustri, e che hanno influenzato anche gli sviluppi novecenteschi del territorio.

Tra questi tratti del genius loci di Mestre vorremmo porre, ad esempio, la sua collocazione strategica rispetto ai grandi assi di comunicazione delle economie storiche via via succedutesi: incrocio tra le grandi vie consolari della latinità, caposaldo della Venezia insulare rispetto alla terraferma, nodo essenziale anche all’interno del Corridoio 5, Mestre si è giovata del suo essere anche realtà di transito, in ragione della particolare sua collocazione geografica.

Ancora, vorremmo rammentare il ruolo e l’importanza che la cultura rurale e contadina ha avuto anche nei confronti dell’insediamento residenziale, e l’influenza che essa ha esercitato, in misura consapevole e no, nei confronti dei processi di identificazione della cittadinanza. Si tratta, in questo caso, di una presenza tuttora viva, pur se nella cintura di terraferma, e che non può essere semplicemente “dimenticata” nel momento in cui si intraprende un’opera di recupero della memoria.

Insistiamo nel dire che l’assunzione di questi temi non ha minimamente a mira una attenzione alle origini affettata e di maniera, verso la quale non proviamo interesse alcuno. Se mai, come ci insegna il buon metodo, la nostra preoccupazione è di fare emergere l’insieme degli universi storici che hanno caratterizzato Mestre, la congerie dei fenomeni di trasformazione che l’hanno consegnata al tempo presente. Anche e soprattutto, questa operazione è indispensabile per attrezzarci con scienza critica e consapevolezza politica al tempo che viene, ai futuri mutamenti che dovranno essere accompagnati dall’attenta consapevolezza che ogni città, e Mestre in particolare, è esito di lento e delicato percorso di sedimentazione dei vissuti, di formazione di frammenti di memoria condivisa che fanno di un insieme di edifici appunto una comunità di uomini. E’ in forza di queste considerazioni che un grande intellettuale novecentesco come Walter Benjamin (tra l’altro, attento osservatore e narratore di città, come Parigi e Vienna), ebbe a dire che “La storia è oggetto di una costruzione il cui luogo non è il tempo omogeneo e vuoto, ma quello pieno di attualità”. Acquisire consapevolezza di questo percorso, averlo ben presente da parte dei decisori e dei portatori di interesse, questa è la migliore garanzia possibile affinché i disegni di pianificazione della Mestre che verrà si caratterizzino in qualità e sostenibilità urbana, e che sostituiscano all’idea di non luogo che per troppo tempo ha gravato sulla nostra terraferma a quella di un luogo delle opportunità sociali e culturali, fulcro dell’intera area metropolitana.

* Presidente Municipalità di Favaro Veneto

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La richezza del contadin, sta nel fosso e nel cavin.

— Proverbio veneto raccolto da Cristoforo Pasqualigo. (1882)

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