FASEMO FILO’
K. Z. [1]
(Dalla testimonianza resa da Ka-tzetnik 135633 al processo Eichmann a Gerusalemme)
“Gli abitanti del pianeta Auschwitz non avevano nomi.
Non avevano né genitori né figli.
Non si vestivano come si veste la gente qui.
Non erano nati la’ né li concepivano.
Respiravano secondo le leggi di un’altra natura e non vivevano né morivano secondo le leggi di questo mondo.
Il loro nome era Ka-tzeninik e la loro identità era quella del numero tatuato nella carne dell’avambraccio sinistro”.
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Niente dispone meglio alla meditazione, alla mestizia, alla poesia di un lungo viaggio traverso a paludi nella piena pompa della state. Quegli immensi orizzonti di laghi, di stagni, di pelaghi, di fiumi, inondati variamente dall’iride della luce; quelle verdi selve di canne e di ninfee dove lo splendor dei colori gareggia colla forza dei profumi per ammaliare i sensi, già spossati dall’aria greve e sciroccale; quel cielo torrido e lucente che s’incurva immenso di sopra, quel fremito continuo e monotono di tutte le cose animate e inanimate in quello splendido deserto mutato per magia di natura in un effimero paradiso, tutto ciò mette nell’anima una sete inesauribile di passione e un sentimento dell’infinito.