Storia di Favaro comune minore. Dopo l’annessione al Regno d’Italia. (2a Parte, 1866 – 1901)

RICERCHE

Storia di Favaro comune minore. Dopo l’annessione al Regno d’Italia.

(2a parte, 1866 – 1901)

di Ettore Aulisio

“Viva il re, via il parroco!”

Un giorno, verso la fine del mese di luglio del 1866, il guardiano del bosco delle Spinere giunse affannato e allarmato in Municipio per avvisare che quella mattina aveva visto dei soldati italiani a cavallo aggirarsi nel bosco; grande fu la sua sorpresa quando seppe che a Favaro la cosa era nota e che non c’era più il Lombardo-Veneto, ma che si apparteneva all’Italia. Quindi i soldati italiani ora non erano più nemici.

Praticamente senza mai combattere, il potente esercito asburgico si era ritirato dal Veneto rifugiandosi per il momento in Friuli; impegnandosi solo in qualche scaramuccia l’esercito italiano guidato dal Generale Cialdini aveva attraversato il Po ed era dilagato nella pianura veneta arrivando anche a Favaro.

Grande fu anche la sorpresa del parroco di Campalto, don Marco Fezza, che dopo avere celebrato il Te Deum per la vittoria navale degli austriaci a Lissa, si ritrovò assediato nella Canonica circondata da numerosi popolani di Campalto che lo accusavano – e a ragione – di essere  filoaustriaco; le accuse erano rivolte anche al di lui fratello Vincenzo, un poco di buono che pur senza titoli di studio aveva sostituito il parroco come maestro e che aveva venduto  ai bambini i libri e il materiale scolastico che doveva distribuire gratuitamente.  Si pensa, però – per quanto documentano gli atti dell’Archivio Municipale –  che la ribellione dei parrocchiani di Campalto nei confronti dei fratelli Fezza non sia stata motivata da ragioni politiche, bensì dal precedente cattivo operato dei due nei confronti della popolazione. Questa era l’occasione buona per inveire contro il non amato Parroco e toglierselo di torno.
Motivazioni senz’altro più patriottiche, o dettate da qualche opportunità politica, furono invece alla base delle iniziative assunte nella vicenda dalla Deputazione Municipale la quale, plaudendo “la fine del giogo straniero”, diramò l’ordine di arrestare il parroco rifugiatosi notte tempo “travestito da colono” nella natia Sant’Ambrogio e che, per conto del “Nostro Governo Italiano”, provvide ad effettuare l’arresto del fratello Vincenzo.

Questi due piccoli episodi segnano la fine del Regno del Lombardo Veneto, ma il Comune di Favaro continuò ad esistere per altri sessanta anni sotto il Regno d’Italia; in questo scritto si vuole sintetizzare la storia del Comune dal momento dell’annessione al Regno d’Italia sino al 1901, quando, in conseguenza dell’aumento della popolazione, cessò di essere considerato un “comune minore”.

L’eredità del vecchio regime: un non paese

Una brutta eredità (voluta) ebbe l’Austria dai Governi della Serenissima e napoleonico quando, nel 1815, divenne padrona delle province venete ed in particolare della terraferma veneziana dove le paludi si alternavano ai boschi e a alle grandi distese di pascoli, dove la popolazione sparsa nel territorio viveva in pessime condizioni economiche, sociali ed igieniche, dove non esisteva alcun nucleo abitativo. A dire la verità il Governo Austriaco si rifece applicando nel Veneto alla proprietà fondiaria delle imposte più alte di quelle applicate nella vicina Lombardia.

Prima della dominazione austriaca il regime napoleonico non aveva solo rubato i Cavalli di San Marco, ma aveva avviato un processo di modernizzazione dello Stato, aveva prospettato una riforma amministrativa, aveva altresì modificato le norme riguardanti la proprietà fondiaria e cercato di migliorare la situazione igienica; l’opera più importante a cui ha dato avvio il Governo francese era però la compilazione del nuovo Catasto, lavoro poi proseguito dal Governo del Lombardo-Veneto.

Una brutta eredità a sua volta il Governo austriaco trasmise a quello del Regno  d’Italia perché i grandi problemi delle campagne venete e delle popolazioni rurali praticamente erano rimasti irrisolti o risolti molto parzialmente; ciò valeva anche per il Comune di Favaro che restava un “non paese” con Marcon, Gaggio e Dese, come diceva un vecchio detto popolare, dove la proprietà fondiaria aveva poco cura sia delle proprie possessioni, sia dell’Amministrazione municipale disertando quasi sempre i lavori  del Convocato Generale degli estimati.

Il problema della miseria “che va ogni dì aumentando” 

Testimoniano in parte la cattiva eredità lasciata agli “italiani” due documenti redatti alla fine del 1865 e nei primi mesi del 1866.

Il primo documento riguarda la situazione di Favaro, ma si può ritenere valido anche per gli altre vaste zone della terraferma; si tratta di quattro relazioni, una per comune censuario, fatte redigere da apposite Commissioni Comunali per evidenziare la situazione igienica ed abitativa esistente nel Comune. Le Relazioni, dopo mesi di indagine sul campo, tracciano un triste quadro delle condizioni di miseria in cui viveva gran parte della popolazione: molte abitazioni sono insufficienti alle esigenze delle famiglie dei coloni, le strutture spesso sono precarie e fatiscenti, non sono rispettate le norme igieniche per quanto riguarda gli scoli domestici e delle stalle, l’acqua potabile è cattiva e inquinata, ecc. In pratica le relazioni evidenziano la stessa situazione esistente sessanta anni prima.

Il secondo documento è la Circolare scritta dal Commissario Distrettuale poco prima della soppressione dei Distretti, ed è menzionata nel 3° capitolo della prima parte della Storia di Favaro. Questa Circolare denuncia la crisi economica esistente in tutti i Comuni del Distretto e che è causata, a parere del Commissario, innanzi tutto dalla mancanza di investimenti nel settore industriale, commerciale e agricolo, poi dalla mancanza della sicurezza per i cittadini e per le proprietà. Per combattere la situazione di “miseria che va ogni giorno di più aumentando e facendosi opprimente nell’inverno”, il funzionario governativo nella Circolare non auspica però maggiori investimenti pubblici e privati o la ricerca di nuove entrate.

Al grido d’allarme lanciato dal Commissario Distrettuale la Deputazione di Favaro risponde di avere adottato provvedimenti per combattere la miseria e aiutare economicamente i tanti poveri del Comune con la somministrazione, una tantum, di un modesto quantitativo di cereali, inferiore però a quello dell’anno precedente in quanto un terribile uragano aveva severamente danneggiato e in gran parte andato distrutto; il Parroco di Campalto in calce all’elenco di 74 capifamiglia bisognosi annota: “Questi tutti son veri poveri non possedendo facoltà di nessuna natura, e mancando un giorno del lavoro delle proprie mani sono costretti a questuare”, mentre il Parroco di Dese osserva invece che sarebbe stato più semplice compilare un elenco dei non bisognosi. Noi, in base alla nostra esperienza, saremmo portati a dire che la miseria non si combatte con i sussidi.

 … e quello della sicurezza con ” i malintenzionati che abbondano”.

Il Commissario Distrettuale sempre nella suddetta Circolare afferma  che “è dovere delle autorità comunali che hanno la tutela dei cittadini e della sicurezza privata di avvisare ai mezzi più efficaci per diminuire le cause della miseria, col sovvenire il vero povero, poscia di tenere d’occhio i malviventi, gli oziosi, quelli che spendono più del guadagno conosciuto, i forestieri ed accattoni che s’aggirano senza apparente onesto scopo, i pregiudicati per precedenti delitti, e per relazioni sospette, cioè le botteghe  di caffè e le bettole…”.

Per affrontare invece il problema della sicurezza della popolazione la Deputazione inviò immediatamente un elenco degli esercizi pubblici soggetti a misure di sorveglianza e un elenco di “quindici persone da assoggettarsi a sorveglianza politica” accompagnandolo con una nota con la quale si assicurava che “i malviventi, quelli dediti al vizio e gli oziosi saranno costantemente e attentamente sorvegliati, come non saranno perduti di vista i forestieri e gli accattoni”.  Nella stessa nota è proposto dalla Deputazione municipale che “per migliorare l’utilità della pubblica sicurezza sarebbe del sommesso parere e riterrebbe anzi indispensabile l’istituzione, a tutto peso dei censiti, di varie guardie comunali da scegliere fra i contadini di questo Circondario di condotta incensurabile, i quali pattugliando muniti d’arma qua e colà di giorno preserverebbero certamente le comuni sostanze ed impedirebbero qualche nero disegno dei mali intenzionati  che purtroppo in questi tempi abbondano”.

Proposte di questo tipo non erano però ben accolte dai governanti austriaci dopo le esperienze del ’48-’49 e quindi caddero nel vuoto.

Eppure c’è ancora oggi chi in Italia rimpiange il “buon” Governo di Cecco Beppe!

La Deputazione Municipale e il nuovo Governo.

La Deputazione Municipale al momento dell’ingresso delle truppe italiane a Favaro era composta dal Primo Deputato Antonio Giacomuzzi e dai Deputati Giacomo Checchin e Gio.Batta Dal Canton; essa restò in carica sino al successivo mese di dicembre quando fu eletto il Consiglio Comunale.

La Deputazione sin dalla fine del mese di luglio 1866 fu impegnata nell’introduzione graduale nel territorio amministrato le leggi, gli ordinamenti e le strutture amministrative già in vigore nelle altre regioni del Regno d’Italia; di particolare rilevanza furono le Leggi riguardanti l’incameramento da parte della Stato dei beni ecclesiastici, dell’abolizione del codice penale austriaco, dell’abolizione della Legge elettorale austriaca riguardante gli organi locali e l’introduzione della Legge Elettorale italiana con la contemporanea compilazione delle Liste elettorali amministrative e politiche.

L’arrivo del Re e il Plebiscito

Il 3 ottobre fu firmato il trattato di pace tra l’Impero Asburgico e il Regno d’Italia, il 19 ottobre si svolse la complessa operazione del passaggio del Veneto dall’Austria alla Francia, poi da questa alla Municipalità di Venezia e, infine, al rappresentante del Regno d’Italia. Solo allora il Re Vittorio Emanuele III entrò a Venezia unitamente alle truppe italiane. Due giorni dopo l’arrivo del Re si svolse il Plebiscito che sanzionava l’annessione del Veneto al Regno d’Italia.

Le elezioni amministrative per l’elezione del Consiglio Comunale e per l’elezione del Consiglio provinciale si svolsero il 23 dicembre di quell’anno.

 

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(…) se non v’è dispiaciuta affatto, vogliatene bene a chi l’ha scritta, e anche un pochino a chi l’ha raccomodata. Ma se invece fossimo riusciti ad annoiarvi, credete che non s’è fatto apposta.

— Alessandro Manzoni

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