1848 – ’49: Favaro, l’insurrezione di Venezia. 1^ parte: lo stato di guerra.

RICERCHE

1848 – ’49: Favaro, l’insurrezione di Venezia. 1^ parte: lo stato di guerra.

di Ettore Aulisio

Il giorno dell’insurrezione: 24 marzo 1848

All’alba del 22 marzo 1848 le campane delle chiese di Favaro e Campalto suonarono a distesa per convocare la popolazione in Comune; i rintocchi delle campane sembravano perdersi per campagna ricoperta da un leggero velo di umidità, oltre i boschi e le paludi sino al margine della veneta laguna.

I villici che in quell’ora mattutina si avviavano a lavorare nei campi si chiedevano il motivo di tanto frastuono: “Sarà successo qualcosa a Venezia?”

Da giorni al Passo di Campalto i viaggiatori provenienti da Venezia narravano di tumulti, di agitazioni, si diceva che c’era chi voleva gli austriaci, chi invece no. Si parlava di un certo Manin e di un certo Tommaseo che guidavano la rivolta contro gli austriaci, che il popolo era insorto ……, le notizie erano però frammentarie, caotiche e a volte contraddittorie.

Quella stessa mattina a Favaro diversi ‘comunisti’, – abitanti della “Comune”, piccoli proprietari, qualche esercente e il dottor Smania, il medico del paese, – richiamati dal suono delle campane si radunarononella piccola sede Municipale di fronte all’Osteria di Favaro, lungo la strada che porta a Mestre. Dinanzi al Deputato Municipale “Cima Federico e al medico condotto del Comune Zambon Giulio” si presentarono tra gli altri  “il medico chirurgo Smania Antonio, i sigg. Gottardo Tommaso, Maguolo Antonio, Bigo Antonio, Scrocaro Evangelista, Spironello Bartolomeo e Ruzzini Domenico”. I convenuti, nell’incertezza del momento, non sapevano cosa fare.

Proprio in quelle ore una caorlina approdava al ghebo Morosini, a Campalto: dalla barca scesero un borghese e sette soldati vestiti approssimativamente con l’uniforme austriaca, ma senza armi; gli otto passeggeri, attraversato col Passo il canale Osellino sostarono un poco all’osteria per bere qualcosa contro l’umidità della laguna. Il vecchio Raganello, gestore del Passo e dell’Osteria, non voleva credere alle novità riferite dai viaggiatori che provenivano da Venezia, “non è possibile, non è possibile” – andava dicendo scuotendo la testa – “fino a pochi giorni fa tutto sembrava tranquillo, ho addirittura affittato i locali della mia osteria a dei giovani veneziani per festeggiare il Carnevale, per quattro serate, ed ora tutto questo disordine!……”.

Usciti dall’osteria gli otto viaggiatori salirono su una carretta trainata da un cavallo e si avviarono verso Favaro percorrendo via Gobbi, una strada stretta, tortuosa, in terra battuta che da pochi giorni alcuni operai stavano riadattando. Arrivati alla sede municipale il giovane borghese, di nome Antolini Antonio, Deputato Municipale e proprietario a Dese di terreni e della Famacia locale, informò i presenti che a Venezia la popolazione era insorta e che, cacciati gli austriaci, avevano proclamato la Repubblica di Venezia con un proprio esercito e che si era formata la Guardia Civica.

Gli astanti ascoltarono prima in silenzio, poi cominciarono a discutere tra loro animatamente, alla fine Antolini, e l’altro Deputato Municipale, Federico Cima, proposero di aderire al nuovo Governo e, sull’esempio degli altri Comuni del Distretto, di formare un distaccamento della Guardia Cittadina “per difesa, e tutela delle loro sostanze, interessando la Deputazione di cooperare perché sia regolata a seconda delle norme vigenti, e delle altre Comuni.

I due Deputati Municipali, Cima e Antolini, invitarono quindi i parroci “a suonare le campane dalle ore dodici all’una, onde invitare li comunisti di doversi recare immediatamente colle armi nella Residenza Comunale per li urgenti bisogni del Comune”; sentiti gli altri “comunisti” inviarono la seguente lettera al medico condotto Smania Antonio: “Si compiace la scrivente deputazione di aderire alla Vostra nomina a comandante della Guardia Civica di Favaro, Dese, e Campalto; nomina infatti che vi fa onore essendo seguita dietro generale acclamazione del popolo oggi a questo nostro di residenza radunato per l’istituzione di questa truppa civica. Tutto la scrivente confidando nei vostri patri sentimenti [….] pel bene comune vi esterna i più sensi di stima”.

Fig. 1 – Caorline al Ghebo Morosini di Campalto

I giorni della Guardia Civica…

La Guardia Civica era composta da un numero imprecisato di volontari; vi aderirono anche i sette militari giunti da Venezia unitamente al Deputato Antolini, la Deputazione però non era in grado di affrontare nuove spese.

Il 24 marzo la Deputazione Municipale fu costretta a chiedere al Commissario Distrettuale un contributo finanziario di lire 150 “per provvedersi ai bisogni di questo Comune ed a quelli del buon ordine della già istituita Guardia Civica nelle Parrocchie di questa Circoscrizione Comunale”.

Il 30 marzo la Deputazione Municipale fu invitata a “disporre di concerto col Comandante della Guardia Civica provvisoria che nessuna Guardia abbia da portare arma se non quando è in servizio” e a “ vegliare di concerto coi comandanti …..sul mantenimento del buon ordine e per la sicurezza delle persone e delle cose usando sempre quei modi urbani e gentili che più si addicono alle Autorità di una Repubblica”.

Il 31 marzo: i componenti della Guardia Cittadina furono invitati a operare per conto di un Governo la cui forma era sostanzialmente diversa da quelle precedenti, perciò la Deputazione fu invitata “a vegliare perché le armi da usarsi abbiano da consistere in fucili con o senza bajonetta, ed in sciabola, o spada per i graduati, ai quali soltanto sarà libero di portare la spada o la sciabola anche fuori servizio. Le armi occulte od insidiose come i coltelli, stocchi e stilli etc. non sono da concedersi”.

Il 1 aprile: fu preso in affitto a Favaro un locale per adibirlo a caserma della Guardia Civica.

Nei giorni successivi: emerse qualche inconveniente circa il comportamento della Guardia Cittadina composta da volontari non aventi una specifica preparazione; un fatto grave avvenne a Favaro e fu denunciato in un rapporto del Comandante: “Capo Sante, soldato in permesso del passato regime, jeri alle 10 circa pom., essendo di Pattuglia, e in atto di accompagnare tre in caserma a Mestre, si accozzò per ragioni futili cogli arrestati, lo richiamai io più volte al dovere, quindi al silenzio, ma nulla valeva a pacificare quella bestia potevasi dire, che anzi depose il fucile, e si rendeva da se stesso prigione, ed io allora intimandogli di riprenderselo, e di continuare nella sua funzione, egli furibondo se lo riprende e con generale nostra sorpresa infierisce contro noi tutti e minaccia di farci foco addosso, à infatti armato il fucile e se lo apposta in atto di scaricare, si noti che il fucile era carico a palla, dicendo : <<Ostia non ho paura di nessuno anzi vi farò fuoco a quanti qui siete>>; fortuna per noi, che pronto in quell’atto di farci fuoco, Piero Boschiero gli stava dappresso, fa tempo di alzargli il fucile, ne approfitto io pure ci deve cedere l’arma e parte per la sua vicina casa dicendo cose da Rodomonte. Per tale significante delitto non indugiai di quanto prima di farlo arrestare da Gendarmeria di Mestre, e tosto tradurre alle Politiche Carceri, perché poi abbia a provare tutto il rigor delle leggi. Undeci fra i pattuglianti ed arrestati presenti al fatto”.

Nelle settimane successive la Guardia Cittadina non fu impegnata in azioni militari, ma al mantenimento dell’ordine pubblico e al controllo del territorio. Furono operati arresti di alcune persone, ma non per motivi politici come risulta da alcuni rapporti redatti dal Comandante; un individuo fu arrestato “perché irrequieto in famiglia, bestemmiatore, violento, pericoloso per maltrattamenti di un suo lavorante con pugni e schiaffi”; un altro individuo, proveniente da Venezia, introdottosi senza permesso nel Comune di Favaro e mancante di recapito, venne fermato perché “egli fu altra volta arrestato e punito per delitto criminale ed è un individuo pericoloso”. Anche una donna di Terzo fu arrestata perché durante una rissa aveva malmenato e ferito un uomo del luogo.

Fig. 2 – Venezia: la presa dell’Arsenale da parte dei rivoltosi


Fig. 3 – Venezia: la folla festeggia la scarcerazione di Manin e Tommaseo

… i giorni del Governo Provvisorio e della nuova Repubblica.

L’istituzione della Guardia Cittadina segnò ufficialmente l’adesione del Comune di Favaro al Governo Provvisorio proclamato a Venezia e segnò la fattiva partecipazione agli avvenimenti che portarono ad una guerra che per 17 mesi coinvolse popolazione e l’Amministrazione Municipale: nel Comune fu dichiarato dal Governo Provvisorio lo Stato di Guerra.

La Repubblica di Venezia proclamata da Daniele Manin e da Nicolò Tommaseo non aveva come obiettivo il restaurare la Repubblica che Lodovico Manin aveva consegnato senza combattere nelle mani di Napoleone il 12 maggio 1797: la nuova Repubblica non doveva essere più uno Stato oligarchico governato dal Patriziato mercantile, ma un nuovo Stato di carattere democratico e borghese.

Il 31 marzo viene diffusa una circolare emanata dal Delegato Provinciale Avesani che indica i principi a cui deve ispirarsi l’attività del nuovo Governo e a cui debbono ispirarsi gli amministratori e i funzionari di ogni livello nello stabilire i rapporti non più con dei “sudditi”, ma con dei “cittadini”. La circolare era piuttosto lunga, elencava i principi a cui doveva ispirarsi il nuovo Governo Repubblica ed iniziava così: “L’era novella della rigenerazione italiana, che mercé i consigli della Provvidenza si schiuse così rapidamente, esige che le autorità tutte agiscano coi medesimi principi onde ottenere il santissimo scopo a cui tendono gli sforzi. Egli è pertanto necessario che i Commissari Distrettuali che si trovano in immediato contatto colle popolazioni si convincano prima essi medesimi di alcune massime sociali, senza le quali si contro opererebbe alla libertà che si professa, e poscia procurino d’istillarle ai Municipi ed alle Deputazioni, alli Consigli ai Convocati ed in genere a tutta la popolazione……
L’Agente municipale Belcarello stentava a leggerla perciò chiese spiegazioni al sopravvenuto Deputato Municipale Antolini, senz’altro il più informato di ciò che stava avvenendo a Venezia. Presa in mano la Circolare il Deputato diede una rapida scorsa al contenuto e poi precisò che la circolare si riferiva alla azione del Governo della loro nuova Repubblica, diversa dalla Repubblica dei Dogi che aveva cessato di esistere circa cinquant’anni prima.
Quella – affermò il Deputato – era governata dai nobili, dai ricchi, cioè da quelli che vi fanno vivere quasi come bestie in queste zone ricoperte da paludi e da boscaglie, quelli che non fanno nulla per migliorare la situazione. Prendi ad esempio il nostro Primo Deputato, quello che s’è dimesso: sono sue in questo Comune tante possessioni e una fornace, però in Comune, anche se era Primo Deputato, non ha messo mai piede facendosi sempre rappresentare dall’amministratore che abita a Mestre: le sue terre vanno sott’acqua quando piove e in gran parte non sono coltivate perché c’è il Pensionatico, cioè sono riservate ai pastori di montagna. Pensa che patriota è: si è fatto perfino nominare Ciambellano dell’Imperatore di Vienna! …
Antolini si mise seduto e, lisciandosi con la mano la rada barba, continuò a dire che la nuova Repubblica è diversa da quella antica perché i ricchi e i poveri debbono avere gli stessi diritti e debbono essere trattati ugualmente. “Voi che vivete qui in campagna non vi dovrete considerare più dei sudditi senza diritti, ma cittadini come tutti gli altri. L’Avesani – che, detto tra noi, a me non è tanto simpatico, io sto con Manin non con i moderati, – dunque dicevo l’Avesani giustamente scrive che dobbiamo amministrare le Comuni, e tutto lo Stato in un modo diverso da come lo faceva il Governo dell’antica Repubblica dei nobili, ma anche come lo stano facendo ora gli austriaci che – in mona loro – sono sempre così complicati nello scrivere e nel disporre le cose, sempre ad ostacolare tutto con la loro burocrazia. E poi che linguaggio che hanno, per diana, sempre a dare ordini tassativi e a minacciare di qualche punizione a chi non li esegue immediatamente”.
Il Deputato sarebbe andato avanti ancora a parlare se non fosse sopraggiunto l’altro Deputato, Federico Cima, col quale iniziò una discussione politica riguardante sempre la Repubblica di Venezia.
Cima aveva delle idee diverse da quelle di Antolini, e condivideva invece quelle più moderate di Avesani il quale rimpiangeva certi aspetti della politica del cessato Regno Italico. “Sotto i francesi – disse – furono fatte tante riforme: non ci hanno solo rubato i cavalli di San Marco, ma hanno tolto le possessioni, tutte poco curate, a tanti ordini religiosi che mangiavano a sbafo. Hanno riformato tante Leggi, quelle del Commercio ad esempio, non so quante antiche, e finalmente avevano messo mano al Catasto per rinnovarlo; fortunatamente gli austriaci lo stanno completando. Penso però che invece di aderire al Piemonte dovremmo cercare di ottenere qualcosa di più dai crucchi, di trovare un accordo con loro”.
I due Deputati, infervorati dalla discussione si dimenticarono del povero Agente Municipale e della Circolare aperta sul piano del tavolo; senza salutare uscirono e attraversata la strada andarono a continuare a parlare nell’Osteria di Vecchiato che sorgeva di fronte alla sede municipale.

I giorni dello stato di guerra

Sin dai primi giorni di aprile il “Comitato per la provendia” (con sede a Mestre) stabiliva il ‘contingente’ dei generi” (buoi, pane, vino, foraggio, cavalli, carretti, ecc.) che ogni Comune del Distretto doveva fornire alla guarnigione di Marghera. Il territorio del Comune di Favaro era molto vasto, ma in gran parte incolto e abitato da poca gente sparsa nella campagna in condizioni economiche non buone; le scorte dei viveri vennero ben presto a mancare e la situazione fu fatta presente al Comune di Mestre. I Deputati Municipali, d’accordo con l’Agente Municipale Belcarello decisero allora di rivolgersi al Comitato: “Come ebbe in forma concreta a rassegnare la scrivente Deputazione a codesto Municipio… il Comune di Favaro… non è in grado di poter requisire veruna quantità di fieno, per conto del Forte di Marghera pei motivi giustissimi esposti nella sopranominata Nota, e poiché per il fatto non esiste più in Comune”.

L’impegno maggiore della Deputazione fu però quello di provvedere alle esigenze dei Corpi militari (soprattutto dell’esercito pontificio detto ‘Reggimento Svizzero’) che in più occasioni sostarono nel territorio Comunale, prima e dopo la battaglia di Cornuda. L’8 e il 9 Maggio a Cornuda avvenne la battaglia che vide contrapporsi l’esercito austriaco alle truppe già dello Stato Pontificio e ai volontari italiani provenienti soprattutto dalle regioni dell’Italia Centrale e comandati dal Generale Durando, il quale, trasgredendo agli ordini di Pio IX, aveva aderito alla Repubblica veneziana. La battaglia di Cornuda da alcuni storici è stata considerata la prima battaglia del Risorgimento perché vi parteciparono solo soldati e volontari italiani.

Fig. 4 – La battaglia di Cornuda

Dopo la battaglia persa di Cornuda, l’esercito del Generale Durando in ritirata sostò di nuovo nel territorio del Comune di Favaro e la Deputazione Municipale così segnalò il fatto al Municipio di Mestre: “Alloggiarono nei giorni 16, 17 e 18 maggio decorso in questa Comune le Truppe del II Reggimento Svizzero composto di uomini 1.200. Al momento della loro partenza occorsero i mezzi necessarj per trasportare a Treviso tanto il Quartier Mastro col suo ufficio quanto gli ufficiali dello Stato maggiore, come emerse dall’unito ordine. La scrivente che può assicurare dell’effettivo servizio prestato dai villici del Comune che fornirono i mezzi stessi nel giorno 18 maggio al su detto per conto del Fornitore dei trasporti in codesto Capoluogo, prega cotesto Municipio perché siano date le opportune disposizioni onde possano ottenere il relativo pagamento”.

Partiti gli Svizzeri un altro problema, forse imprevisto, si presentò agli ormai esausti Deputati e all’Agente Municipale che furono costretti a chiedere l’intervento dell’Ospedale Militare di Venezia per assistere i feriti della battaglia di Cornuda: “Furono jeri qua lasciati dei soldati ammalati appartenenti al II Reggimento Estero Pontificio, e con rapporto relativo del Medico Chirurgo Maggiore di detto Reggimento chiede che siano trasportati all’ospitale Militare in Venezia…”. Le disgrazie, come si dice non vengono mai da sole; infatti a Favaro arrivarono altri Militari e la Deputazione fu costretta ancora una volta a chiedere aiuto: “Oltre al Battaglione di truppe giunte in Favero giunsero pure 20° carretti carichi di equipaggi provenienti da Padova. Li Militari intendono di non farli scaricare. E li poveri requisiti reclamano il formaggio, la mangiativa, ed il cambio. Senza alcuna disposizione di codesto Comitato non posso fare alcuna cosa. Presi gli opportuni concerti cogli altri del Comitato ella mi favorisca scrivere, e mi faccia avere quanto può essere occorrente al caso col ritorno dell’espresso che appositamente spedisco”. In certe giornate i militari volontari e del Governo Provvisorio erano più numerosi degli stessi abitanti del Comune!

Come appare dal tenore delle diverse note compilate dalla Deputazione, dalla metà di maggio, con l’aumentare le difficoltà amministrative, si sta utilizzando maggiormente il linguaggio più burocratico che era proprio del nel precedente regime; ai primi di giugno vengono meno le idee espresse da Avesani nella sua Circolare che era una specie di manifesto dello Stato moderno e democratico. Spesso nel piccolo stabile che ospitava l Deputazione Municipale i due Deputati, Cima e Antolini, e l’Agente Municipale Belcarello non sapevano proprio più a che santo rivolgersi.

Giunsero in Municipio quasi contemporaneamente due ordini per la requisizione di un bove: uno proveniva dal Comando militare di Forte Marghera, l’altro invece da Dese ed era stato inviato dal Comando delle truppe austriache che nottetempo s’erano accampate in quella frazione.
L’agente municipale Belcarello guardò perplesso due ordini di requisizione che aveva aperti davanti a sé sul piano del vecchio tavolo; aveva cercato di contattare i due Deputati Municipali, ma invano. Uno, il Cima, forse si era trasferito nei suoi possedimenti in campagna o era fuggito a Venezia, comunque non si faceva più trovare; l’altro, l’Antolini, era immediatamente riparato a Venezia dove l’aspettava l’incarico di Tenente della Guardia Civica di Santa Croce. Anche il dottor Smania, il Comandante della Guardia Civica locale, era irreperibile: non avendo fatto a tempo a rifugiarsi a Forte Marghera, era sparito dalla circolazione. Alla fine Belcarello, anche su consiglio dell’oste che esercitava nel vicino locale di salsamenteria e che nel passato si era dimostrato scettico circa il futuro del Governo Provvisorio, decise di soddisfare l’ordine di requisizione presentato dagli austriaci.

Questa voce è stata pubblicata in Ricerche e contrassegnata con , , . Contrassegna il permalink.