28 dicembre 1788

FASEMO FILO’

Filastroca giazzada (come la laguna)

(titolo arbitrario finchè non trovo quel giusto)

«Ne contava i nostri veci
che dell’ano otantaoto
se podeva andar de troto
su pel giazzo a cavalcar.
O che bel afar
che belissimo afar
là su per l’acqua a caminar…».

Chi portava dei vin
coi seci e con barili
a sacchi più di mìle
se vedeva de pan
con cariole e co civiere
vegniva i comestibili.
Le par cose incredibili
vel zuro da cristian.
Molti se divertiva
col ziogar a le carte
e da tute le parte
la zente a spazizar:
Chi magnava e beveva,
chi mascherai balava.
E molti se ne andava
a Mestre per disnar.».

«Sior Marcheto in salizada
un fiantin tropo azardoso
tuto un scosso l’è andà basso
e a tornar de sora al giazzo
l’ha dovudo tribolar …»

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Tra Cordovado e Venchieredo, a un miglio dei due paesi, v’è una grande e limpida fontana che ha anche voce di contenere nella sua acqua molte qualità refrigeranti e salutari. Ma la ninfa della fontana non credette fidarsi unicamente alle virtù dell’acqua per adescare i devoti e si è recinta d’un così bell’orizzonte di prati di boschi e di cielo, e d’una ombra così ospitale di ontani e di saliceti che è in verità un recesso degno del pennello di Virgilio questo ove le piacque di porre sua stanza. Sentieruoli nascosti e serpeggianti, sussurrio di rigagnoli, chine dolci e muscose, nulla le manca tutto all’intorno. È proprio lo specchio d’una maga, quell’acqua tersa cilestrina che zampillando insensibilmente da un fondo di minuta ghiaiuolina s’è alzata a raddoppiar nel suo grembo l’immagine d’una scena così pittoresca e pastorale. Son luoghi che fanno pensare agli abitatori dell’Eden prima del peccato; ed anche ci fanno pensare senza ribrezzo al peccato ora che non siamo più abitatori dell’Eden.

— Ippolito Nievo, Le confessioni d’un italiano

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