Le radici della qualità del lavoro e dell’impresa: la storia dell’arsenale di Venezia

RICERCHE 21

Le radici della qualità del lavoro e dell’impresa.
La storia dell’arsenale di Venezia

di Annalisa Conterio (*) e Francesco Da Villa(**)

L’Arsenale di Venezia è rimasto in vita per circa 12 secoli e ha svolto l’importante funzione di costruire navi sia mercantili che da guerra e di fornire tutti i servizi ad esse necessari. L’importanza e la dimensione dell’Arsenale sono sempre cresciute col trascorrere del tempo fino a diventare un grande complesso, di proprietà dello Stato, in grado di soddisfare sia i fabbisogni della Repubblica che quelli dei privati.

L'ingresso all'Arsenale  nella vista del Canaletto

Nei periodi di massimo sviluppo, le attrezzature dell’Arsenale comprendevano numerosi cantieri e molti magazzini coperti nonchè una importante struttura dedicata alla costruzione del cordame. C’erano pure altre strutture destinate ai depositi del legname da costruzione, dei tessuti per le vele, della pece, degli articoli di ferramenta e altro ancora. Una fonderia per i cannoni e uno spazio destinato ai test di gittata si trovavano a lato dei depositi di armi e munizioni.

E tutto ciò, con una dimensione non riscontrabile da nessuna altra parte nel mondo occidentale. L’Arsenale ha avuto fama internazionale per le dimensioni delle sue attrezzature, per l’efficienza della sua organizzazione, per la quantità dei prodotti ottenuti e per la qualità del naviglio militare e commerciale.

Arsenale di Venezia -  Bacino di carenaggio delle Gaggiandre, attribuite a Jacopo Sansovino

Arsenale di Venezia - Bacino di carenaggio delle Gaggiandre, attribuite a Jacopo Sansovino

Nell’Arsenale la gestione del Sistema Qualità è sempre rimasta completamente integrata nella gestione generale dell’impresa andando a coprire sia aspetti relativi alla struttura organizzativa sia aspetti relativi alla gestione degli approvvigionamenti e dei materiali nonchè aspetti riguardanti l’addestramento e la supervisione della manodopera e il sistema di controllo economico della gestione. L’integrazione organizzativa ha sempre garantito la connessione operativa tra i differenti livelli nella scala gerarchica: da quello più alto – corrispondente al Senato della Repubblica e al Consiglio dei Dieci – giù giù fino ai più bassi livelli delle maestranze artigiane ed estesa anche ai fornitori dei materiali. Il capo della produzione dell’Arsenale era il cosiddetto Ammiraglio alle cui dipendenze si trovavano i proti delle diverse arti: 4 arti maggiori: marangoni, calafati, remeri e alboranti; 4 arti minori: tagieri, fabbri, mureri e segadori. I Maestri artigiani – coadiuvati dai loro fanti (cioè gli apprendisti) – operavano sotto la guida dei proti. La natura del lavoro di costruzione dello scafo era squisitamente artigianale; nella realizzazione di uno scafo , infatti, giocava un ruolo essenziale la capacità dell’artigiano di trovare, istante per istante, problema per problema, la più appropriata soluzione tecnica agendo con gli strumenti che gli erano propri; tutte le competenze necessarie alla realizzazione dell’opera dovevano essere possedute dall’artigiano ed era quindi esclusa ogni separazione tra compiti di natura direttiva/ normativa e compiti esecutivi.

In un tale contesto diventava essenziale trattenere memoria scritta degli errori da non commettere durante la lavorazione; erano questi dei testi scritti che rappresentavano la garanzia che i segreti – che erano tramandati dalla tradizione – venissero trasmessi ai successori e da questi assimilati anche tramite l’apporto di propri ritocchi finalizzati al miglioramento dello scafo in corso di allestimento. Il vertice politico-gestionale dell’Arsenale era perfettamente consapevole che la più pregiata risorsa della sua struttura era costituita dalla capacità artigianale dei suoi lavoratori e riconosceva l’importanza strategica di poter disporre di un tale tipo di maestranze in quantità talvolta anche esuberante rispetto allo stretto necessario.

Il tipo di gestione del personale praticato dalla direzione – su preciso mandato dell’autorità politica – era tale per cui, per i Veneziani, era forte l’attrattiva di poter lavorare in Arsenale. Diventare “arsenalotto” rappresentava una sorta di promozione sociale, garantita dal fatto che soltanto le maestranze più abili potevano entrare a far parte del complesso.

Gli arsenalotti rappresentavano una casta; una specie di aristocrazia operaia. Tra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo vennero emanate norme secondo le quali potevano essere assunti solo i figli e i parenti dei maestri dell’Arsenale; nel 1629, a suggello di una tendenza secolare, venne creato un “libro d’oro” dove venivano iscritti i figli dei maestri fin dalla loro nascita con la possibilità di essere assunti e remunerati a partire dall’età di dieci anni. Inoltre, la cultura presente in Arsenale ha costantemente privilegiato l’eccellenza della prestazione di lavoro e ciò, particolarmente, con riferimento alla qualità artigianale dei manufatti; in altri termini, l’ambiente era essenzialmente meritocratico. D’altra parte, il vertice gestionale dell’Arsenale aveva ben chiaro quanto importante, per ciascun arsenalotto, fosse l’armoniosa coniugazione del riconoscimento del merito personale – garantito dal vertice stesso – con l’orgoglio dell’appartenenza; l’appartenenza all’Arsenale era, infatti, motivo di vanto per i Veneziani, da un alto, perchè diretto e pubblico riconoscimento di eccellenza delle proprie capacità e, dall’altro lato, causa di una serie di benefici cui avevano diritto gli arsenalotti.

Il saggio completo  puo’ essere scaricato da questo link

http://www.ailognordest.it/Storia_Arsenale_Francesco_Da_Villa.pdf

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(*) Ricercatore, Dipartimento di Studi storici, Università di Venezia;
(**) Professore di Organizzazione della Produzione e dei Sistemi Logistici, Dipartimento di Innovazione Meccanica e Gestionale,Università di Padova;

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Qui tutto sembrava più lieve e disegnato con minuzia: il paesaggio, gli orizzonti. Anche i corpi degli uomini e delle donne. La terra era recinta di siepi intrecciate, d’una pianta elastica chiamata opio, ch’era poi l’acero campestre dalle fronde fitte, dove nidificavano gli uccelli.

— Ulderico Bernardi, La piccola città sul fiume (2002)

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