Se il cibo “globale” minaccia l’ identità alimentare delle Venezie

DISCUSSIONI

Se il cibo “globale” minaccia l’ identità alimentare delle Venezie

di Ulderico Bernardi *

No, non sono più i tempi che la pancia piena è il massimo della soddisfazione. Speranza di una società povera, semplice, oppressa da lavori di fatica. Oggi altre sono le aspettative: un ottimo telefonino (se ancora è valido chiamarlo così), la benzina per andare. Per questo si possono anche sacrificare i consumi alimentari. Nelle misure che ci spiattella il sondaggio dell’Osservatorio sul Nordest. Certo impressiona leggere che le classi di età produttive, tra i 35 e i 64 anni, rinunciano in maniera così massiccia alla carne e al pesce. Ma non ci sono solo di mezzo i prezzi proibitivi delle pescherie, ci sono le conversioni al vegetarianesimo delle diverse osservanze, in costante crescita, concorrono fattori diversi, com’è proprio della società complessa, tra cui la crisi economica non sembra il prevalente. Cambiano i gusti, le diete, e con loro le pietanze. Per certe classi di basso reddito si è all’estrema semplificazione. Basta interrogare un macellaio, e spiegherà che per gli autoctoni e affini dominano sovrani la costicina di maiale e la carne tritata, mentre per gli immigrati musulmani, rispettosi del cibo halal, è il pollo in pezzi. I buongustai rimpiangono il quinto quarto bovino, le frattaglie, il cuore, il fegato, milza, coda e trippe. Ma è una battaglia persa. Già il quarto anteriore è in difficoltà, anche se potrebbe offrire un’alternativa a costi lievi. Biancostato e lesso di ogni genere, sono scartati per i tempi di cottura, e per l’idea che si portano dietro di cucina povera dei tempi andati. Le buone minestre sostanziose d’altri tempi sono rimosse nell’imperio della pasta, che non a caso si conferma il bastione dell’identità alimentare anche in questa parte del Paese. Quelle pietanze saporite erano il fondamento per generosi inzuppamenti di polenta e tocio. L’una e l’altro sono oggi aborriti come spettri del colesterolo. Ora, queste parti animali vanno tutte in polpetta.
L’hamburger è l’altra richiesta universale. Una severa selezione si è compiuta, più su sollecitazioni psicologiche che economiche. Sul piano quantitativo, ma ancora più su quello qualitativo. Mettendo a rischio la stessa identità alimentare delle Venezie. Aggredita nelle sue basi tradizionali. Perfino il pane, fondamento di ogni tavola, cede nei numeri. Sotto la pressione della cattiva panificazione, precotta, surgelata, insapore, e dei pregiudizi che le rubriche televisive spacciano dai loro antri del cotto e mangiato.
Siamo alla frutta? In effetti, sempre stando al sondaggio, i vegetali reggono di più, soprattutto per ciò che proiettano nell’immaginario collettivo, associati a freschezza, salute, stagionalità a cui gli affiliati alla linea tengono moltissimo. Talvolta si tratta di un successo del tutto immeritato: mele che vengono da annosi frigoriferi, pere di nessun gusto, cavoli che sanno solo di acqua. Ma tant’è, potenza del sogno di natura. Perfino in queste terre, beneficate da tanti prodotti tipici, l’educazione alimentare che pretenderebbe solamente che uno zucchino fosse uno zucchino e una carota una carota, trova serie difficoltà a proporsi.

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*pubblicato ne “Il Gazzettino” dell’8 aprile 2014

Piatto decorato terracotta

Piatto decorato terracotta

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Scopersi un luogo dove l’acqua s’allarga quasi in un laghetto, limpido ed argentino come la faccia d’uno specchio. Le belle treccie di aliche vi si mescevano entro come accarezzate da una magica auretta: e i sassolini del fondo tralucevano da esse candidi e levigati in guisa di perle sdrucciolate per caso dalle loro conchiglie. Le anitre e le oche starnazzavano sulla riva; a volte di conserva si lanciavano tumultuosamente nell’acque, e tornate a galla dopo il tonfo momentaneo prendevano remigando la calma e leggiadra ordinanza d’una flotta che manovra. Era un diletto vederle avanzare retrocedere volteggiare senzaché la trasparenza dell’acque fosse altrimenti turbata che per una lieve increspatura la quale moriva sulla sponda in una carezza più lieve ancora. Tutto all’intorno poi era un folto di piante secolari sui cui rami la lambrusca tesseva gli attendamenti più verdi e capricciosi. Coronava la cima d’un olmo, e poi s’abbandonava ai sicuri sostegni della quercia, e abbracciandola per ogni verso le cadeva d’intorno in leggiadri festoni. Da ramo a ramo da albero ad albero l’andava via come danzando, e i suoi grappoletti neri e minuti invitavano gli stornelli a far merenda ed i colombi a litigare con questi per prenderne la loro parte. Sopra a quel largo dove il laghetto tornava ruscello erano fabbricati due o tre mulini, le cui ruote parevano corrersi dietro spruzzandosi acqua a vicenda come tante pazzerelle.

— Ippolito Nievo, Le confessioni d’un italiano

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