Biodiversità degli ortaggi dimenticati: dagli antichi sapori ai moderni segreti della salute

RICERCHE

Biodiversità degli ortaggi dimenticati: dagli antichi sapori ai moderni segreti della salute

di Stefano Benvenuti

L’ormai inesorabile affermazione della cosiddetta “globalizzazione” alimentare ha paradossalmente stimolato un crescente interesse per quella biodiversità che stava per scomparire per sempre dal panorama delle risorse genetiche di ormai antico “addomesticamento” vegetale e/o animale. In questo ambito gli ortaggi rappresentano una risorsa genetica di assoluto interesse non solamente sotto un profilo gastronomico ma anche storico e nutraceutico (1). Viene da chiedersi: ma perché certe antiche cultivar sono state messe da parte e sostituite da moderne cultivar commerciali? Il motivo è semplice: anche se non ce ne rendiamo conto richiediamo agli ortaggi delle caratteristiche che, sebbene spesso appiattiscano le componenti di sapore e salute, certamente consentono di disporre di alimenti pronti, ben conservabili, facilmente raccoglibili e con attitudine al confezionamento e quindi alla commercializzazione. In altre parole le nostre quotidiane esigenze hanno favorito cultivar caratterizzate da contemporaneità di maturazione (quindi facilmente meccanizzabili e raccoglibili) uniformi come forma, colore e dimensioni (quindi facilmente confezionabili), con scarsi fitochimici rapidamente alterabili (quindi ben conservabili) e con caratteristiche gastronomiche di facile impiego come attitudine al lavaggio, brevi tempi di ammollamento nel caso dei legumi e persino assenza di odori considerati sgradevoli. Questo ultimo caso può essere ben rappresentato dal cavolfiore fiorentino (ormai raro) che, essendo ricco iso-tiocianati, la sua cottura implicava odori considerati sgradevoli nonostante che è proprio la presenza di questi fitochimici a conferirgli un ruolo nutraceutico in termini di attività anticancerogena.

Fig. 1 - Cece nero della Murgia

Fig. 1 – Cece nero della Murgia

Analoga azione è garantita anche da altre brassicacee come il “Broccolo fiolaro di Creazzo” (provincia di Vicenza, ricco di sulforafano), il cavolo nero fiorentino, il “Broccolo romanesco” dalla tipica forma a frattale e dal “Cavolo a foglie ricce” pugliese. Analoghi legami tra ortaggi locali e salute è dato dall’asparago violetto di Albenga, dal sedano rosso di Orbassano e la carota nera di Polignano (ricchi di antociani ad attività antiossidante), il cece nero della Murgia ricco di ferro (Fig. 1), la zucca serpente siciliana ad attività ipolipidemica ed il Pomodoro tondino liscio da serbo Toscano (detto anche Pendolino) molto ricco di polifenoli attivi come prevenzione delle malattie cardiovascolari. Di estremo interesse gastronomico-culturale sono inoltre gli “intrecci storici” che intercorrono tra un determinato ortaggio e la tradizione rurale di un particolare territorio. E’ questo il caso della melanzana rossa di Rotonda, importata ad inizio del secolo scorso in Basilicata da soldati della guerra di Etiopia, dello Scalogno, il cui nome deriva dalla città di Ashkelon (Israele) importato dai Crociati (~ 1200), il pomodoro San Marzano, regalato dal viceré del Perù al Re Napoli Ferdinando IV di Borbone nel 1770, della “Batata salentina”, introdotta nel 1842 dal marchese Cosimo Ridolfi (fondatore a Pisa della prima Istituzione Agraria nel mondo), nonché della Lenticchia nera (Vicia articulata) considerata “coltura relitto” della Magna Grecia calabrese (Bovesia, VIII secolo a.C.) la cui popolazione ha tuttora un dialetto grecofono. Analoga “coltura relitto” della Magna Grecia, in questo caso salentina, è costituita dal Pisello nano di Zollino (Lecce).

Fig. 2 - Carosello pugliese

Fig. 2 – Carosello pugliese

Di notevole interesse gastronomico sono inoltre alcuni ortaggi che sono poco od affatto conosciuti fuori del loro areale locale di coltivazione. Ne sono esempi il Carosello pugliese (Fig. 2) (simile ad un cetriolo), la Fagiolina del lago Trasimeno, il Carciofo bianco di Pertosa, il Peperone di Senise, il Melone rospo di Bologna, la Facussa (Cucumis melo var. cantalupensis).

Questo ultimo è un ortaggio simile al cetriolo e viene coltivato presso l’isola di San Pietro in Sardegna ed importato dalla Tunisia da pescatori di corallo di origine genovese. Altri esempi di ortaggi “locali” sono la cipolla di Giarratana (Sicilia) di enormi dimensioni (spesso utilizzata gratinata) o la patata rossa di Cetica (Arezzo) idonea per la preparazione degli gnocchi. Questa ultima è ricordata nel “Calendario Cesentinese” del 1837, e veniva richiesto ai contadini, da parte del Granduca di Toscana, di coltivarla per prevenire le carestie diversificando le colture adibite a “sfamare” la popolazione. Ciò a testimonianza dell’iniziale diffidenza di questa nuova specie di origine americana.

Fig. 3 - Pomodoro Canestrino di Lucca

Fig. 3 – Pomodoro Canestrino di Lucca

Ci sono poi ortaggi che, dopo avere rischiato di scomparire, sono stati ampiamente riscoperti e valorizzati come nel caso del Pomodoro Canestrino di Lucca (Fig. 3), la Lenticchia di Castelluccio di Norcia, i Fagioli Zolfino di Pratomagno (Arezzo), di Sorana (Pescia), di Lamon (Belluno), lo “Stortino” di Lucca, la Piattella pisana, la Cipolla di Treschietto (Carrara), la Zucchina mora pisana e molte altre specie in ogni area della nostra Penisola. Va ricordato inoltre che alcuni ortaggi che sono ormai pressoché dimenticati non tanto a livello di cultivar ma talvolta persino come specie botanica. E’ questo il caso della Pastinaca (Pastinaca sativa), un tempo ampiamente diffusa sulle tavole degli antichi romani come testimoniato dal famoso gastronomo Apicio (I secolo a.C.-I d.C.), della Cicerchia (Lathyrus cicera), della Scorzonera (Scorzonera hispanica) e della Roveja (Pisum sativum subsp. arvense) (Fig. 4).

Fig. 4 - Roveja (Pisum sativum var_arvense)

Fig. 4 – Roveja (Pisum sativum  subsp. arvense)

In sintesi il mondo degli ortaggi è una sorprendente opportunità non solamente di de-globalizzazione alimentare ma costituisce anche un modo per scoprire quella storia sommersa della nostra Penisola che è invisibile agli occhi. Una biodiversità che appare l’ideotipo di risorsa genetica per quegli orti sociali che stanno ormai affermandosi, sempre più, in ogni parte del mondo.

Un ringraziamento particolare a questa “sopravvissuta biodiversità” va a quel prezioso ed indispensabile contributo dei cosiddetti “coltivatori custodi”. E’ infatti grazie a loro che, nel tempo, non abbiamo perso per sempre questo prezioso germolpasma rendendolo fruibile non solamente all’odierna società ma anche a coloro che in questa “biosfera vivente” ci seguiranno.


(1) Nutraceutica è un neologismo sincratico da “nutrizione” e “farmaceutica” coniato dal Dr. Stephen DeFelice nel 1989.
I nutraceutici sono quei principi nutrienti contenuti negli alimenti che hanno effetti benefici sulla salute. Si trovano in natura, ma la trasformazione industriale tende ad azzerarli. I nutraceutici possono essere estratti, sintetizzati e utilizzati per gli integratori alimentari, oppure addizionati negli alimenti. Più raro è trovarli negli alimenti in maniera naturale e in quantità sufficienti ad ottenere dei benefici.

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Fonte: http://www.georgofili.info/detail.aspx?id=4138

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Molto si giocherà sulla cultura. Vorrei anzi dire che tutto si giocherà sulla cultura. Ricordatelo, voi che pensate che il denaro e la sua conquista, il potere e la sua conquista, la felicità materiale e la sua conquista siano tutto. Denaro potere felicità materiale non si conquistano senza cultura ma soprattutto, non sono tutto: ci sono spazi di fantasia, realizzazione di se’ e donazione di se’ che stanno oltre la linea del semplice benessere. Questo fa la differenza. Su questo si può vincere ancora.

— Eugenio Scalfari, giornalista

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